Berlino rigida sulla flessibilità
In conferenza stampa toni più vicini tra Roma e Hollande
Sulla portaerei Garibaldi il vertice tra Renzi, Merkel e Hollande sull’Europa. Da Berlino nessuna concessione sulla flessibilità.
A BORDO DELLA NAVE GARIBALDI È appena un istante nel corso della conferenza stampa. Ed è anche totalmente estemporaneo, visto che per tutti domande e risposte sembrano finite, il sole sta quasi tramontando, Hollande sta raccogliendo le sue cose, la Merkel si rilassa guardando il panorama mozzafiato. È a quel punto che Matteo Renzi prende per un attimo di petto il giornalista tedesco che ha fatto la domanda: «Le ricordo che l’Italia ha il deficit più basso di sempre, saremo come sempre concreti ma dovremo abbinare alla concretezza i nostri sogni».
Cosa vuole dire Renzi? E di cosa è colpevole, si fa per dire, il cronista tedesco che ha posto la domanda? L’azzardo, se così si può dire, è stato collegare l’argomento crescita europea alla flessibilità che serve, per il secondo anno consecutivo, ai conti pubblici italiani. In questi giorni si sprecano indiscrezioni e smentite sulla portata della futura manovra, sull’autonomia che Renzi vorrà o potrà prendersi da Bruxelles e dai suoi vincoli, si calcolano i decimali di flessibilità e deficit ulteriori e si verifica quale sarebbe la capacità espansiva di un certo tipo di «disobbedienza» alla Commissione europea.
Il giornalista tedesco, mentre i tre leader discutono in modo generico (e prima che inizi il loro vero incontro) di crescita e occupazione, scopre in qualche modo il sipario, fa una domanda diretta, e si rivolge alla Cancelliera come al presidente del Consiglio: la Merkel — nel giorno in cui loda il premier dicendo che «ha fatto delle riforme coraggiose» — la prende alla larga, parla prima di immigrazione, poi fa spallucce, come in altre occasioni, perché «sono temi di cui deve occuparsi la Commissione e poi i margini di flessibilità sono già abbastanza nel Patto di Maastricht»; come a lavarsene le mani.
Eppure proprio di crescita, di minore austerity, di maggiori investimenti, si discuterà di lì a poco nella sala della «Garibaldi», dove si ritirano i tre leader per una cena che conclude la giornata. E le parole di Hollande confermano che esiste al momento una sintonia forte sul tema fra Parigi e Roma, e una distanza in qualche modo preoccupante con Berlino.
Parla Hollande ma sembra Renzi, gli argomenti sono quasi intercambiabili: «Ha ancora un senso l’Europa?», si chiede in modo retorico il presidente francese. «Come possiamo rispondere al diffuso scetticismo, anche nel mio Paese? In un solo modo: con un’Unione che dà alle economie nazionali più forza, più competitività, più integrazione nel settore della difesa, dello scambio di informazioni sulla sicurezza. Allora in questo modo della Ue non possiamo fare a meno».
Sono parole che Renzi sottoscrive, che accompagna con univoci segni del capo, mentre cita Spinelli e il suo «Manifesto», ne legge anche uno dei passi, e subito dopo afferma che «l’Europa non è finita, ma
deve abbinare concretezza a capacità di sognare», ovvero di riformarsi.
Hollande gli fa eco: «La Ue deve tutelare le economie nazionali». Parole che suonano come musica alle orecchie di Renzi, che sogna una proroga del piano Juncker per altri due anni, abbinandolo a progetti non più nazionali ma transfrontalieri; che fra gli obiettivi declina l’industria 4.0 e l’agenda digitale; che indica l’Europa «come la soluzione, non come il capro espiatorio».
Insomma «il sogno» di Renzi forse non collima con la concretezza di Berlino, ma è costellato di maggiore crescita, investimenti, meno strettoie di Bruxelles ed eventualmente anche di una manovra in ulteriore deficit.
La sponda Il presidente francese avverte: Bruxelles deve tutelare le economie nazionali