Il segreto britannico per i trionfi olimpici Soldi solo ai vincenti
Ma c’è chi si interroga sui risvolti economici ed etici
Bob Morgan e Tony Ally non potevano immaginare che sarebbero diventati il simbolo di tutto quel che non andava. I due tuffatori inglesi stavano vagando per le strade di Atlanta offrendo ai passanti il loro kit olimpico in cambio di qualche dollaro. Almeno per andare in pari con le spese. Furono riconosciuti da un fotografo loro compatriota. E così l’Inghilterra trasformò quei due atleti a fine carriera in una parte per il tutto, la storia che esemplificava e spiegava al meglio la vergogna nazionale di quei Giochi del 1996. Una sola medaglia d’oro, 15 in tutto. L’ex Impero britannico era al 36esimo posto, superato anche da Belgio, Algeria e Kazakhistan.
La dissolvenza dovrebbe durare vent’anni, che anche nello sport rimane un periodo di tempo importante. Ma Rio 2016 è stata una festa britannica come mai prima. Non avevano mai vinto un oro nei tuffi. Non avevano mai vinto un oro in ginnastica. Non avevano mai avuto 15 ori in 15 sport diversi. Ripartono con 67 medaglie, 27 del metallo più pregiato, superando anche il totale della precedente edizione che però si era giocata in casa, a Londra. Era andata meglio solo nel 1908 quando però in certe discipline gareggiavano al massimo due atleti. Sono secondi soltanto agli Usa, e hanno superato la Cina.
I numeri non si discutono. E tanto meno i soldi. Le ristrettezze economiche dei poveri Morgan&Ally sono un ricordo lontano e ben nascosto, visto che nessuno di Team GB ama parlare del disastro di Atlanta. Da un investimento di 5 milioni di sterline per finanziare il quadriennio olimpico si passò ai 54 milioni e alle 26 medaglie di Sidney 2000. La spesa sportiva per Londra 2012 salì fino a 264 milioni. L’Olimpiade casalinga non ha fermato la progressione. Tra il 2013 e il 2017 sono stati investiti negli sport olimpici e paraolimpici quasi 350 milioni di sterline, che persino con il cambio al ribasso dopo la Brexit ammontano all’astronomica cifra di 406 milioni di euro.
Sono finanziamenti pubblici, ma non sono tasse. E arrivano grazie alla decisione di un governo conservatore. L’avvento della National Lottery nel 1994 e la decisione dell’allora premier John Major di destinare allo sport gran parte dei guadagni ottenuti dalla vendita dei biglietti sono all’origine di una rivoluzione persino esagerata, basta paragonare le medaglie di Cina e Gran Bretagna con il rispettivo numero di abitanti. Ad Atlanta, la ginnastica GB si presentò senza avere ricevuto neppure una sterlina di Stato. In questo quadriennio olimpico ha potuto contare su 14,6 milioni di sterline. I dividendi sono stati pagati con due ori, un argento e tre bronzi, ottenuti in una disciplina da sempre matrigna.
I primi a chiedersi se sia davvero tutto oro quel che luccica sono stati gli inglesi. Dopo l’abbuffata di Londra 2012, un dossier del ministero dello Sport dovette ammettere che all’incremento della medaglie in sport da sempre negletti non corrispondeva alcun aumento del numero di praticanti. «Team Gb» è ormai una entità autonoma
al servizio non di un intero movimento, ma solo dei suoi migliori talenti individuali. È stata creata una struttura che seleziona l’atleta e la disciplina con maggiori possibilità di medaglia e concentra ogni investimento su di loro. La redistribuzione delle quote viene fatta in base ai risultati. Se perdi, addio denaro, come accaduto dopo Londra 2012 al volley e al ping pong, che pure sono sport molto popolari. Se vinci, anche in discipline sconosciute, ne avrai sempre di più per continuare a vincere.
Anche la Bbc ha cominciato a farsi qualche domanda, ammettendo che esistono questioni
sia etiche che economiche, siamo pur sempre in tempi di crisi. Ma le perplessità maggiori vengono da fuori, e non si tratta solo di invidia. Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine ha criticato aspramente la filosofia senza compromessi alla base di questo successo. Lo spagnolo El Paìs è andato oltre, definendo «brutale e senza cuore» la ritrovata gloria olimpica britannica. «Ogni medaglia» ha scritto «è il prodotto di un calcolo e non dello spirito di un’atleta». Sono tutte obiezioni con un loro fondamento. Ma poi ci sono le medaglie, e il loro peso politico. I tentativi di imitazione sono già cominciati. Inutile sperare in un ripensamento britannico. Adam Peaty ha trascorso l’adolescenza gareggiando grazie ai sacrifici fatti dalla famiglia. Poi ha superato le selezioni venendo ammesso nel cosiddetto «programma d’élite». A Rio 2016 ha vinto un oro nel nuoto che mancava da trent’anni. Come è scritto in epigrafe al suo depliant di presentazione, Team Gb è qui per restare.