«Tre quintali per 4,5 euro» I braccianti bulgari e il ghetto senza docce per i bambini
esiste la scuola, non esistono giochi, non c’è acqua corrente per una doccia: in poche parole, non c’è futuro.
«I bulgari si trasferiscono con le famiglie — spiega il prefetto di Foggia Maria Tirone — lo sappiamo e lo sa anche il Comune di Manfredonia che ha contattato l’ambasciata bulgara per una collaborazione». «E con la penuria di lavoro — spiega Daniele Iacovelli, segretario della Flai Cgil della provincia di Foggia — per qualche euro in più i neo-comunitari sono disposti anche a rinunciare a qualche giornata contributiva che, con la complicità dei datori di lavoro o dei commercialisti, viene assegnata agli italiani falsi braccianti».
I due ghetti, quello bianco e quello nero, hanno un punto in comune: il coordinamento da parte dei caporali, bulgari da una parte e africani dall’altra, che fanno da mediatori con gli imprenditori che cercano manodopera a basso costo. Il listino prezzi, per braccianti africani e neo-comunitari (complessivamente ventimila nella provincia di Foggia a fronte dei quattrocentomila a livello nazionale) è identico: il trasporto con il furgone costa cinque euro a testa e per ogni cassone da tre quintali — pagato quattro euro e mezzo — il caporale trattiene cinquanta centesimi. E visto che euro
Il costo del trasporto con il furgone; 4,5 euro invece è la paga per un cassone da 3 quintali. Per ogni cassone il caporale trattiene 50 centesimi nei furgoni si stipano anche in venti e che ogni bracciante riesce a riempire fino a quindici cassoni, il caporale incassa per ogni trasporto duecentocinquanta euro al giorno.
Considerando che all’interno dei ghetti i caporali gestiscono anche i bar e i negozi (dal macellaio al meccanico), si capisce come con questo giro d’affari sia difficile debellare il caporalato. E questo, nonostante negli ultimi mesi si sia registrato un sensibile incremento dei controlli (più 59 per cento, secondo il governo).
«Soltanto con più controlli e con investimenti nei trasporti si può sconfiggere il caporalato — spiega il prefetto Tirone —. I ghetti si allargano perché ci sono i caporali e i caporali trovano spazio perché non ci sono alternative adeguate per coprire le lunghe distanze che separano i braccianti dai campi».
Più controlli, quindi. Ma c’è anche chi se ne lamenta. Verso Sud, nella provincia di Bari, si sta raccogliendo l’uva da tavola. Ma, per Coldiretti Puglia, la raccolta è ostacolata da «un clima di presidio militarizzato». «Prima di Ferragosto — spiega Giorgio Nicassio dell’omonima azienda di Adelfia — sono venuti dodici finanzieri per controllare i nostri quattro braccianti che lavoravano nel vigneto e l’attività è rimasta bloccata dalle 8 alle 11».
Eppure, nel Sud-Est Barese, con distanze da coprire più brevi, il fenomeno del caporalato è meno diffuso rispetto al Foggiano e al Salento. Dove invece i ghetti si allargano, l’Europa è solo sulla cartina e il futuro si allontana.