Corriere della Sera

Solo, nella luce artica ho sconfitto la paura

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La distanza che mi separa dalla Baia del Re già mi pare enorme. Ormai l’ultima barriera di terra emersa è superata: davanti a noi non resta che la sommità polare. Una luce aridissima e magnetica trema nelle conche dell’atmosfera, e qualche cosa di nuovo si annuncia all’orizzonte: pare che ardano a confin di cielo dei nastri di magnesio. Stormi di gabbiani fittissimi, dalle ali tenere e stanche, come petali di ninfea, scendono a lambire in soffice carezza i cristalli d’acqua vergine e attenta. Non trascorron­o due ore e già entriamo a contatto della banchisa. L’immensa pianura fiorisce di diamanti. Gli ocelli bruciano. Si comincia a navigare dentro un labirinto di forme galleggian­ti, di emergenze frantumate. Paiono conche di porcellana che contro sole suonano in trasparent­i accordi verdazzurr­i; o blocchi d’avorio bulinato, O placche d’ambra ghiottissi­me, o lesene marmoree sbavate dal risucchio. Siamo stretti nel dedalo della banchisa. Bisogna destreggia­re il naviglio traverso i canalicoli d’acqua libera. Manovra difficile: un urto contro queste masse natanti contrappes­ate dall’insidia di blocchi sommersi potrebbe esserci fatale.

Dura circa nove ore questa lotta accanita. Per buona sorte la notte è calma, il sole limpidissi­mo, l’aria senza vento. Se un flato di deriva si levasse a trascinare in cozzo e tumulto questi bolidi glaciali, passeremmo istanti poco piacevoli. Ma là davanti a noi emerge il profilo della Nuova Friesland e già si intravede l’imbocco dello stretto oltre il quale sobbalzano le tempeste granitiche della Terra di Nord-Est. La meta sta per essere toccata.

Cirri di nubi alte specchiano sul cielo l’intrico dei ghiacci oceanici. L’aria è calata negli abissi a intriderli d’azzurro, le correnti del mare hanno allagati i campi superni dell’atmosfera striandoli di fiumane liquide. Gli elementi sono fusi e capovolti. Tornano i primordi. Forse il poeta di Dio che cantò l’esordio del mondo venne in sogno dalle lande infocate della Siria ad ispirarsi qui sui limiti glaciali di questo eterno candore. Ed io rivivo gli istanti

di VITTORIO BEONIO BROCCHIERI

Elegia del freddo Ludovico Einaudi suona su una piattaform­a galleggian­te alla deriva nel Mar Glaciale Artico, nel giugno 2016. Il compositor­e italiano ha eseguito la performanc­e come appello «ecologista» per invitare a proteggere i ghiacci eterni di quella divinazion­e. Scopro in questa mia passione d’uomo sperduto nell’oceano dell’esistenza un lembo di memoria che mi assicura d’essere stato in qualche modo testimone delle origini, e sento che di me qualche cosa vivrà fino al tramonto dei secoli. Questa immane luce, che d’ogni parte mi assale e mi divora e mi abbacina e mi toglie peso e materia, rende più vivo ciò che più vivo è in me. Ciò che non può morire. E non m’importa dei giorni contati, né della mia consapevol­e caducità, perché a me è concesso in quest’attimo breve e immenso di saldarmi all’eterno, di appellarmi all’infinito. È varcata la mezzanotte. Proseguiam­o verso nord-est. A un tratto vedo fumo denso alzarsi dietro la costa della Nuova Friesland, una ruga bluastra corrodere l’imbocco dello Stretto, un turbine esalare dai margini della Terra di Nord-Est. Fermo il motore: tendo l’orecchio. Di laggiù, da oriente, si propaga un’eco di frana, un rumor di terremoto.

Nebbie travolte in fuga vertiginos­a spingono i ghiacci dentro la valle liquida, che si inabissa tra le due isole. Lo Stretto di Hinlopen sta per giocarci brutte sorprese. Johannsen dà una voce o fa un segno. Io giro timone verso terra, e do tutto motore. Bisogna mettersi in salvo prima che il vento di nord propaghi l’urto dei ghiacci fin qui. Grazie alla vicinanza della costa, tutto riesce bene.

Otto agosto: ore cinque del mattino. Sbarchiamo su Capo Verlegen. Una barriera di piccoli scogli consente di ricoverare la barca al sicuro dai ghiacci. È raggiunto l’estremo punto nord della Grande Svalbard. Latitudine 80° 13’. Temperatur­a + 5. Vento di est convoglia la banchisa verso l’isola di Mofren. Necessario sostare. Abbiamo consumati solo 297 chili di nafta e pochissime riserve di viveri. Navigando abbiamo catturato una foca. Sono cinquantad­ue ore che non si riposa. Domani penserò al ritorno. Per ora, fuori la tenda da bivacco e una cassa di viveri! La meta è raggiunta.

Stralcio dell’articolo dal titolo «Cinquecent­o miglia in barca nel Mar Glaciale» uscito sul Corriere del 18/6/1932

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