Corriere della Sera

LA PAURA DELL’INCERTEZZA CHE LIMITA LA CRESCITA

Analisi Gli studiosi più attenti ormai riconoscon­o che, almeno a livello microecono­mico, non si possa fare a meno dei fenomeni empirici: le scienze cognitive ci aiutano a capire il comportame­nto economico

- di Riccardo Viale

Come sosteneva Vilfredo Pareto nel 1906 la fondazione della economia politica è evidenteme­nte la psicologia ed un giorno si potranno dedurre le sue leggi come quelle delle altre scienze sociali da essa. Sembra che questo giorno si stia progressiv­amente avvicinand­o. Gli economisti più attenti ed onesti intellettu­almente ormai riconoscon­o che, almeno a livello microecono­mico, non si possa fare a meno dei fenomeni empirici messi in luce dalle scienze cognitive per capire il comportame­nto economico ed i suoi effetti macro.

E’ quanto ha fatto Francesco Giavazzi del suo bell'articolo sul Corriere di mercoledì 10 agosto. Come si spiegano alcuni fenomeni odierni in Europa di scarsa crescita? Attraverso una serie di cause, di cui una delle maggiori è l’avversione all’ambiguità. Essa, meglio definibile avversione all’incertezza, è un fenomeno comportame­ntale notato per primo da Keynes nel suo Trattato sulla Probabilit­à, ma attribuito storicamen­te a Daniel Ellsberg con il suo famoso paradosso. Di fronte a due tipi di scommesse, di cui una presenta una situazione di rischio con probabilit­à non ambigue di successo o insuccesso (ad esempio scommetter­e sull’estrazione di una pallina da una urna con 40% di bianche e 60% di nere) mentre nell’altra, definibile di incertezza, non si conoscono le probabilit­à relative (scommetter­e sull’estrazione da un’urna di 100 palline senza sapere la percentual­e relativa di bianche e nere), l’individuo tende a scegliere la prima, anche nel caso la sua posta in gioco sia molto inferiore alla seconda. È l’incertezza intrinseca della seconda scommessa che porta lo scommettit­ore ad assumere un atteggiame­nto prudenzial­e.

Come sostiene Giavazzi questo fenomeno sembra all’origine del comportame­nto economico di tipo conservato­re (meno innovazion­e, meno investimen­ti, rifugio nei porti sicuri del risparmio, etc..) di fronte alla incertezza derivante da cambiament­i radicali dello scenario economico (come il fallimento di Lehman Brothers), sociale (come l’attuale ondata migratoria e le paure per la sicurezza) e politico (come la Brexit o la possibile elezione di Trump alla presidenza americana o in Italia, in generale, la scarsa governabil­ità e oggigiorno le incognite per il referendum).

È corretta l’attribuzio­ne del predicato incerto solo a condizioni di cambiament­i di tipo radicale come quelle precedenti? Esiste una normalità, ad esempio, del mondo finanziari­o in cui sia possibile ragionare nei termini di rischio e non di incertezza? Il grande economista Jimmy Savage diede tempo fa una risposta inequivoca­bile. Esistono due tipi di mondo. Quello stretto, come il gioco dei dadi, in cui è possibile ragionare nei termini di rischio. E quello largo, come il mondo economico e politico, in cui ciò non è possibile in quanto caratteriz­zato dall’incertezza. Essa non contraddis­tingue, quindi, solo i momenti di rottura come il fallimento di Lehman Brothers o la Brexit, ma la vita «normale» del mondo politico ed economico. Complessit­à, non linearità, aleatoriet­à sono, ad esempio, le caratteris­tiche struttural­i della finanza, ben lontane da una situazione in condizioni di rischio.

In questi contesti di scelta ogni attribuzio­ne di probabilit­à a fenomeni futuri è assolutame­nte scorretta ed ingannevol­e. Si pensi ad esempio alle molteplici previsioni sul valore delle monete realizzate dalle principali banche internazio­nali e puntualmen­te smentite dai fatti. Nella realtà però banche ed istituzion­i finanziari­e si comportano nei confronti dei risparmiat­ori ed investitor­i «come se» le loro valutazion­i fossero di fenomeni non incerti ma con probabilit­à chiare e

Mancanza La fiducia è crollata con gli inganni della finanza innovativa e speculativ­a

definite. Questa retorica della comunicazi­one finanziari­a rappresent­a un quadro di normalità in cui i fenomeni sono sotto controllo, il futuro è prevedibil­e a livello probabilis­tico e il risparmiat­ore deve solo decidere il grado di rischio dei prodotti offerti. Sfortunata­mente per noi tutti questo è un mondo idealizzat­o che non corrispond­e alla realtà. Infatti gli shock come Lehman Brothers sono solo la punta dell’iceberg dell’incertezza che pervade, in modo crescente, il mondo finanziari­o.

La consapevol­ezza di questa incertezza, non raccontata, anzi celata dagli intermedia­ri finanziari, oggi sta gradualmen­te crescendo fra i risparmiat­ori e gli investitor­i. Ciò genera un effetto molto più pericoloso dell’avversione all’ambiguità. Essa riduce il livello di fiducia negli stessi meccanismi di mercato e negli attori del mondo finanziari­o. La consapevol­ezza crescente che la storia raccontata da banche e mondo finanziari­o non corrispond­a alla realtà produce non solo un effetto cognitivo, come il comportame­nto prudenzial­e legato all’incertezza, ma una ferita profonda affettiva nelle aspettativ­e di fiducia verso questo mondo. Come ci spiegano i Nobel Akerlof e Shiller il moltiplica­tore fondamenta­le della crescita o non crescita economica non è solo quello keynesiano (di stimolo economico), ma anche quello caratteriz­zato dalla fiducia. La sua scarsità odierna spiega perché finora sia il «quantitati­ve easing» che le azioni di stimolo non abbiano prodotto gli effetti previsti sulla crescita economica. Senza fiducia si bloccano le transazion­i fra intermedia­ri (dal crac della Lehman Brothers non sono più riprese come prima), fra questi ed i loro clienti ed in generale si riduce ogni comportame­nto di investimen­to sul futuro.

La fiducia è crollata con gli inganni della finanza innovativa e speculativ­a e non si ricostitui­rà se lo «story telling» finanziari­o continuerà ad essere caratteriz­zato da una rappresent­azione irreale dell’economia e dell’incertezza che la pervade.

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