LA PAURA DELL’INCERTEZZA CHE LIMITA LA CRESCITA
Analisi Gli studiosi più attenti ormai riconoscono che, almeno a livello microeconomico, non si possa fare a meno dei fenomeni empirici: le scienze cognitive ci aiutano a capire il comportamento economico
Come sosteneva Vilfredo Pareto nel 1906 la fondazione della economia politica è evidentemente la psicologia ed un giorno si potranno dedurre le sue leggi come quelle delle altre scienze sociali da essa. Sembra che questo giorno si stia progressivamente avvicinando. Gli economisti più attenti ed onesti intellettualmente ormai riconoscono che, almeno a livello microeconomico, non si possa fare a meno dei fenomeni empirici messi in luce dalle scienze cognitive per capire il comportamento economico ed i suoi effetti macro.
E’ quanto ha fatto Francesco Giavazzi del suo bell'articolo sul Corriere di mercoledì 10 agosto. Come si spiegano alcuni fenomeni odierni in Europa di scarsa crescita? Attraverso una serie di cause, di cui una delle maggiori è l’avversione all’ambiguità. Essa, meglio definibile avversione all’incertezza, è un fenomeno comportamentale notato per primo da Keynes nel suo Trattato sulla Probabilità, ma attribuito storicamente a Daniel Ellsberg con il suo famoso paradosso. Di fronte a due tipi di scommesse, di cui una presenta una situazione di rischio con probabilità non ambigue di successo o insuccesso (ad esempio scommettere sull’estrazione di una pallina da una urna con 40% di bianche e 60% di nere) mentre nell’altra, definibile di incertezza, non si conoscono le probabilità relative (scommettere sull’estrazione da un’urna di 100 palline senza sapere la percentuale relativa di bianche e nere), l’individuo tende a scegliere la prima, anche nel caso la sua posta in gioco sia molto inferiore alla seconda. È l’incertezza intrinseca della seconda scommessa che porta lo scommettitore ad assumere un atteggiamento prudenziale.
Come sostiene Giavazzi questo fenomeno sembra all’origine del comportamento economico di tipo conservatore (meno innovazione, meno investimenti, rifugio nei porti sicuri del risparmio, etc..) di fronte alla incertezza derivante da cambiamenti radicali dello scenario economico (come il fallimento di Lehman Brothers), sociale (come l’attuale ondata migratoria e le paure per la sicurezza) e politico (come la Brexit o la possibile elezione di Trump alla presidenza americana o in Italia, in generale, la scarsa governabilità e oggigiorno le incognite per il referendum).
È corretta l’attribuzione del predicato incerto solo a condizioni di cambiamenti di tipo radicale come quelle precedenti? Esiste una normalità, ad esempio, del mondo finanziario in cui sia possibile ragionare nei termini di rischio e non di incertezza? Il grande economista Jimmy Savage diede tempo fa una risposta inequivocabile. Esistono due tipi di mondo. Quello stretto, come il gioco dei dadi, in cui è possibile ragionare nei termini di rischio. E quello largo, come il mondo economico e politico, in cui ciò non è possibile in quanto caratterizzato dall’incertezza. Essa non contraddistingue, quindi, solo i momenti di rottura come il fallimento di Lehman Brothers o la Brexit, ma la vita «normale» del mondo politico ed economico. Complessità, non linearità, aleatorietà sono, ad esempio, le caratteristiche strutturali della finanza, ben lontane da una situazione in condizioni di rischio.
In questi contesti di scelta ogni attribuzione di probabilità a fenomeni futuri è assolutamente scorretta ed ingannevole. Si pensi ad esempio alle molteplici previsioni sul valore delle monete realizzate dalle principali banche internazionali e puntualmente smentite dai fatti. Nella realtà però banche ed istituzioni finanziarie si comportano nei confronti dei risparmiatori ed investitori «come se» le loro valutazioni fossero di fenomeni non incerti ma con probabilità chiare e
Mancanza La fiducia è crollata con gli inganni della finanza innovativa e speculativa
definite. Questa retorica della comunicazione finanziaria rappresenta un quadro di normalità in cui i fenomeni sono sotto controllo, il futuro è prevedibile a livello probabilistico e il risparmiatore deve solo decidere il grado di rischio dei prodotti offerti. Sfortunatamente per noi tutti questo è un mondo idealizzato che non corrisponde alla realtà. Infatti gli shock come Lehman Brothers sono solo la punta dell’iceberg dell’incertezza che pervade, in modo crescente, il mondo finanziario.
La consapevolezza di questa incertezza, non raccontata, anzi celata dagli intermediari finanziari, oggi sta gradualmente crescendo fra i risparmiatori e gli investitori. Ciò genera un effetto molto più pericoloso dell’avversione all’ambiguità. Essa riduce il livello di fiducia negli stessi meccanismi di mercato e negli attori del mondo finanziario. La consapevolezza crescente che la storia raccontata da banche e mondo finanziario non corrisponda alla realtà produce non solo un effetto cognitivo, come il comportamento prudenziale legato all’incertezza, ma una ferita profonda affettiva nelle aspettative di fiducia verso questo mondo. Come ci spiegano i Nobel Akerlof e Shiller il moltiplicatore fondamentale della crescita o non crescita economica non è solo quello keynesiano (di stimolo economico), ma anche quello caratterizzato dalla fiducia. La sua scarsità odierna spiega perché finora sia il «quantitative easing» che le azioni di stimolo non abbiano prodotto gli effetti previsti sulla crescita economica. Senza fiducia si bloccano le transazioni fra intermediari (dal crac della Lehman Brothers non sono più riprese come prima), fra questi ed i loro clienti ed in generale si riduce ogni comportamento di investimento sul futuro.
La fiducia è crollata con gli inganni della finanza innovativa e speculativa e non si ricostituirà se lo «story telling» finanziario continuerà ad essere caratterizzato da una rappresentazione irreale dell’economia e dell’incertezza che la pervade.