Gli incontri con l’autore in Italia
Gli incontri di Jonathan Safran Foer in Italia: il 31 agosto sarà a Torino al Circolo dei Lettori e alla sera a Ivrea in Sala Santa Marta; il 1° settembre a Milano al Teatro Parenti con Marco Missiroli; il 2 settembre al Festival della Mente di Sarzana co
tima era diventata vergogna, la vergogna era diventata rassegnazione, la rassegnazione era diventata paura, la paura era diventata risentimento, il risentimento era diventato autodifesa». Così i due sposi si consumano per conto loro, poi insieme, poi attraverso i figli. Alla fine si compie il verdetto, ed è pensato sia da Jacob che da Julia una sera che vanno a letto e si coricano alle due estremità del materasso: «Il matrimonio è il contrario del suicidio, ma è l’unico atto di volontà che abbia la stessa definitività».
Il libro esce contemporaneamente negli Stati Uniti e in Italia, in patria alcuni critici si sono già interrogati — neanche a dirlo — su quanto autobiografismo ci sia in queste pagine di perdita sentimentale. Mai dimenticare, invece, quanta acquisizione sessuale custodisce quest’opera che non lesina complotti carnali, masturbazioni cocciute, amplessi mai fini a se stessi, spesso scaturiti dal dilemma di Abramo sul monte Moriah. Il sesso descritto da Foer è la fuga necessaria, e formidabile, che gli uomini hanno in questo tempo di Bibbia dimenticata. Scopiamo per riprodurci, scopiamo per abitudine, scopiamo per godere. Jonathan Safran Foer, come Roth, sussurra qualcosa di meglio: scopiamo per essere. È una ribellione contro il rabbino, o forse no: in qualche modo l’assalto al piacere è un rituale per la libertà. Io mi celebro nonostante le colpe e nonostante le colpe io provo a essere liberato. Non libero, ma liberato. È il modo per dire: eccoci.
Da qui nasce una delle scene di questo romanzo senza scrupoli: Julia si ritira nel bagno di casa dopo un accenno di litigio con Jacob. La sua è una famiglia con un ecosistema di facciata, non ci sono urla, non ci sono scenate, le crepe si sentono e vanno assorbite da scappatoie minori. Julia si chiude a chiave e si spoglia, osserva allo specchio il suo corpo ancora giovane ma segnato dalle gravidanze, poi pensa al marito, quando la desiderava ancora. Pensa alla
carne erotica divenuta carne materna. E sprofonda. Così Foer sacrifica Isacco sull’altare, mettendo il genitore davanti alla frustrazione ritorta sui figli. A cosa ho rinunciato per te, bambino mio? È l’interrogativo che porta il romanzo da una storia famigliare a una storia d’amore a una storia di figli. E saranno i figli, soprattutto Sam, a notare ciò che «gli adulti o non sapevano o non potevano permettersi di vedere, e questo lo faceva solo incavolare ancora di più, perché essere meno stupido dei tuoi genitori è ripugnante».
In Sam Bloch resiste una costola della passata letteratura di Foer, quando in Ogni cosa è illuminata o in Molto forte, incredibilmente vicino dava all’infanzia il senso di possibilità. L’emorragia si arresta perché là fuori i più piccoli vegliano su tutti noi. Ma là fuori, adesso, alleggia anche la catastrofe: non esiste più un’Ucraina che restituisce l’identità, nemmeno una New York che lenisce gli orfani, ora si compie la disfatta di ogni punto di riferimento. È quello che accade a Jacob, a Julia, poco prima del Bar mitzvah di Sam, quando si svegliano e vengono a sapere che un terremoto ha devastato il Medio Oriente, facendo saltare i confini dello Stato d’Israele. È l’atto centrale che mette la famiglia Bloch e ogni ebreo a immaginarsi Abramo disperso. La solitudine di un matrimonio diventa la solitudine di un popolo.
Eccomi è questo inno di intimità perduta. Territoriale, affettiva, identitaria. Ma Foer ha scritto una storia maestosa di seicento pagine dove le persone sorprendono se stesse, riparandosi con l’undicesimo comandamento, quello degli uomini: vivi. La salvezza passa dallo sforzo di farcela, magari goffi e indignati, comunque dediti a cosa siamo. L’ironia è il midollo di questa parabola, l’ironia e la pietà per chi se lo merita. Fai ridere Dio, fallo commuovere. La scrittura di Foer ti stana qui, quando sali il monte con tuo figlio per mano, senza essere pronto al sacrificio. E lo gridi.