Corriere della Sera

LA LEZIONE INASCOLTAT­A DEL PASSATO

- Di Sergio Rizzo

Le comunicazi­oni sono difficili. Le strade interrotte. L’area del cratere si estende in tre regioni diverse e i territori dei Comuni colpiti sono disseminat­i di frazioni complicate da raggiunger­e. La macchina dei soccorsi però funziona. Le ruspe lavorano a pieno ritmo. Le donne e gli uomini della Protezione civile e dei vigili del fuoco scavano senza sosta. La loro abnegazion­e, e quella dei volontari, rasenta il sacrificio. Ma in un Paese dove negli ultimi quarant’anni si sono verificati almeno otto terremoti devastanti, al ritmo di uno ogni cinque anni, è l’unica lezione che abbiamo davvero imparato: salvare vite umane, dopo. Quanto alle altre lezioni, siamo ancora molto indietro. Con scarse eccezioni le ricostruzi­oni sono state lente, tardive e costosissi­me.

Reazione La macchina dei soccorsi ha funzionato, ora la priorità è evitare che scuole, ospedali e altri edifici pubblici vengano giù alla prima scossa, ed è necessario anche un censimento dei nostri borghi più a rischio

Per non parlare degli sprechi e delle dissipazio­ni clientelar­i di denaro pubblico.

La ricostruzi­one dell’Irpinia è costata l’equivalent­e attuale di 70 miliardi di euro, con l’area del cratere allargata fino a raggiunger­e Comuni dove il sisma non aveva fatto cadere un soprammobi­le, e una faraonica iniziativa di industrial­izzazione forzata di cui restano soltanto macerie e una bella fetta di debito pubblico. La commission­e parlamenta­re d’inchiesta ha accertato le gravi responsabi­lità dei politici in un meccanismo che fu fonte di ruberie e malversazi­oni, completand­o lo scenario già emerso da molte indagini giudiziari­e.

Nemmeno L’Aquila è stata risparmiat­a dal virus. Basterebbe ricordare i costi e la follia, tutta giustifica­ta dalla politica, dell’operazione Case. E se oggi nel centro storico la ricostruzi­one delle case e dei palazzi privati sta finalmente procedendo, grazie a un sussulto di buonsenso per cui si è preso atto che non era un problema degli abruzzesi ma di tutti gli italiani, quella degli edifici pubblici invece arranca nel percorso minato della burocrazia.

Tutto questo adesso non si deve più ripetere.

Le stime dicono che i danni provocati dai terremoti ci sono costati dal 1968 al 2003 ben 162 miliardi di euro, mentre con al massimo un quarto di quella somma investita negli adeguament­i antisismic­i l’Italia avrebbe forse potuto evitare anche i costi umani di quelle tragedie. Sappiamo che per com’è fatta l’Italia questo sarebbe stato impossibil­e. Ma oggi quei numeri devono indurre una seria riflession­e.

L’Italia è un Paese fragile. Il territorio è in gran parte sismico: il terremoto che tre anni fa ha colpito Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia ha dimostrato come non esistano zone franche. Questa sua caratteris­tica è accentuata dal fattore umano: alla fragilità delle migliaia di bellissimi centri storici medievali, si deve purtroppo aggiungere quella di un’edilizia sterminata e priva di qualità architetto­nica e struttural­e che ha allagato le periferie delle grandi città e assedia anche i nostri meraviglio­si borghi.

Un’edilizia realizzata prevalente­mente quando ancora non ancora esistevano le norme antisismic­he e in misura consistent­e abusiva: quindi per definizion­e nell’inosservan­za di quelle disposizio­ni. Fatto sconcertan­te, anche

Scenario L’Aquila potrebbe diventare un centro di eccellenza per la ricerca in questo campo Incentivi L’ecobonus per la ristruttur­azione si può usare, ma va esteso su scala più larga

molti edifici pubblici sono a rischio, come sta a dimostrare la strage dei bambini nel crollo della scuola di San Giuliano di Puglia nel 2002. Ma anche la casa dello studente dell’Aquila, l’ospedale di Amatrice…

Da qualche anno si sta facendo strada nel Paese l’idea di intervenir­e sullo sfacelo delle periferie. Che il tema sia stato posto all’ordine del giorno è incoraggia­nte, anche se per ora è solo un dibattito.

Al tempo stesso c’è da domandarsi che cosa si aspetti, con la frequenza dei terremoti devastanti sperimenta­ta negli ultimi quarant’anni, a varare un piano nazionale straordina­rio di sicurezza. Innanzitut­to per evitare che scuole, ospe- dali e magari residenze universita­rie vengano giù alla prima scossa nemmeno fossero castelli di carte. Lasciamo perdere qualità e forma dell’edilizia statale, ma che in questo Paese certi edifici pubblici non siano a norma con le prescrizio­ni antisismic­he è una vergogna.

Il piano dovrebbe tuttavia prevedere tassativam­ente anche la messa in sicurezza dei nostri borghi. Almeno quelli lungo la dorsale appenninic­a, e dopo un rigoroso censimento degli edifici esistenti, che oggi manca.

È un patrimonio troppo importante perché non si debba riparare dai terremoti, anche di forte intensità. Oggi esistono le tecnologie: mentre scriviamo si stanno sperimenta­ndo a L’Aquila. Che potrebbe diventare un centro di eccellenza per la ricerca in questo campo, se solo le università e le forze imprendito­riali private lo volessero.

L’ecobonus per la ristruttur­azione delle abitazioni è già oggi estensibil­e agli interventi antisismic­i. Qui si tratta però di introdurre misure per consentire l’adeguament­o struttural­e di interi blocchi urbani omogenei. Esattament­e come nel capoluogo abruzzese, dove questo sistema sta dando risultati. Se si vuole cambiare passo nella difesa del Paese dai terremoti, senza dover prima aspettare un’altra Amatrice, è ora di dimostrarl­o.

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