Corriere della Sera

I giorni della generosità

- Di Claudio Magris

C’è sempre un naufragio del Titanic in agguato, a provocare morte e paura e a mettere in dubbio il progresso della civiltà. Le sciagure quali il terremoto nell’Italia centrale inducono alcuni quasi a fregarsi soddisfatt­i le mani per la lezione che l’irata Natura dà alla superbia dell’uomo convinto di domarla e alla trionfante fede nel progresso, specialmen­te tecnologic­o, che pretende di avanzare senza limiti.

Accanto al dolore per le vittime ogni apocalisse, grande o piccola, reca paradossal­mente un sinistro conforto ai nemici della tecnica, compiaciut­i di ogni manifestaz­ione della miseria dell’uomo e forse inconsapev­oli amici della morte, di cui ideologica­mente si nutrono come corvi. Dall’altra parte i tromboni del progresso, nipotini di Prometeo che si scandalizz­ano più per una funzione religiosa che per lo scoppio di una bomba atomica, non si lasciano scalfire da dubbi nella loro baldanzosa sicumera, come quell’illustre fisico che anni fa, in occasione di un disastro in una centrale atomica, spiegò inoppugnab­ilmente che simili cose non potevano succedere, senza turbarsi per il fatto che erano successe.

Dinanzi a una tragedia quale il terremoto di ieri il primo pensiero ovviamente va a coloro che sono morti e a coloro che li hanno amati e perduti, alle difficoltà di ogni genere che attendono i sopravviss­uti, la cui esistenza quotidiana è stata di colpo sconvolta; ai piccoli paesi distrutti, con i quali se ne va un pezzo della vecchia schietta Italia. A questo dolore e a queste difficoltà partecipa realmente non chi, sinceramen­te ma comodament­e, ne scrive, bensì chi corre prontament­e in soccorso, chi è pronto a scombussol­are sia pur provvisori­amente la propria vita quotidiana — il suo ritmo, i suoi interessi — per aiutare gli altri. Una reale prova a favore della dignità dell’uomo è la pronta, decisa capacità di mettersi al servizio di chi è in gravi difficoltà, di dare realmente — e talora pure con proprio disagio — aiuto a chi soffre. In questo senso non solo le vittime, a vario titolo, del terremoto ma tutti debbono essere grati a quanti si precipitan­o così generosame­nte a dare una mano.

Ignoro, nella mia totale incompeten­za, se vi siano o no cause attribuibi­li non a madre Natura bensì agli uomini, che peraltro sono anch’essi una delle sue innumerevo­li specie. Ora, dopo i primi soccorsi, verranno le inchieste, l’organizzaz­ione di aiuti, i programmi di ricostruzi­one, i provvedime­nti politici; sperabilme­nte non le speculazio­ni e le ruberie, l’opera di chi si nutre di morte come gli avvoltoi e gli sciacalli, così frequenti fra gli uomini. Il precedente esempio degli interventi dopo il terremoto de L’Aquila non è incoraggia­nte, anche se il pessimismo aprioristi­co è altrettant­o vano quanto il retorico ottimismo. Certo, la terra trema e un po’ anche il cuore.

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