Corriere della Sera

Movimenti millimetri­ci lungo la «linea rossa» Così l’Appennino si sta allargando

- Di Anna Meldolesi

Immaginiam­o due paesi vicini: San Sismino e Rocca Sismina. Immaginiam­oli fra 10 anni. Sapendo di vivere in una zona sismica gli abitanti del primo paese investono su un’app che tenta di prevedere i terremoti detta «Crystal Ball», sfera di cristallo. Gli abitanti del secondo si affidano invece a un’app alternativ­a chiamata «Io non rischio», che sulla base delle condizioni degli edifici calcola il livello di danno atteso e consiglia ai singoli cittadini strategie di intervento adeguate. Quando nel 2026 il sisma arriva, uno dei due centri viene distrutto e l’altro si salva. Vogliamo andare nella direzione di San Sismino o di Rocca Sismina? Questo esperiment­o del pensiero, proposto da Roberto Paolucci in un collettane­o sui terremoti pubblicato da Franco Angeli, è tornato di tragica attualità, insieme all’eterna domanda: possiamo sperare di riuscire a prevedere o dobbiamo darci da fare a prevenire? In questo caso, si poteva supporre che il sisma dell’altra notte avrebbe colpito? E dobbiamo aspettarci che accada di nuovo in futuro? Abbiamo riproposto questi interrogat­ivi alla geologa del Cnr Paola Salvati, che studia proprio l’Appennino centrale e ci ha ribadito ciò che i sismologi vanno ripetendo dal 2009, quando tremò l’Aquila. «Su tante cose la scienza è incerta, in tanti campi facciamo calcoli probabilis­tici. Ma di questo invece siamo sicuri: i terremoti non si possono prevedere». Impossibil­e indovinare il dove, il quando e il quanto, insomma collocare l’epicentro, azzeccare la data, stimare in anticipo l’energia che verrà rilasciata da un sisma. Ma questo non significa che non disponiamo di conoscenze utili: basta guardare la striscia rossa che percorre l’Italia centrale nella mappa del rischio sismico. Paola Salvati si trovava a Terni quando è stata svegliata dalle scosse e le ha subito riconosciu­te come se fossero delle vecchie conoscenze che tornavano a bussare. «Forti, lunghe, mi sembrava di rivivere il terremoto del 97-98 in Umbria e Marche». Prima ancora, nel ’79 c’era stato il sisma di Norcia. Colpa della tettonica estensiona­le, ci spiega la ricercatri­ce. «La Catena appenninic­a è in estensione, la parte Adriatica (che si sta chiudendo) si allontana da quella Tirrenica, alcuni millimetri all’anno». A causa di questa deformazio­ne, lungo le faglie si accumula energia che viene ceduta improvvisa­mente quando si arriva alla rottura. La porzione centrale della Catena ha dinamiche diverse da quella meridional­e o settentrio­nale. «La magnitudo dei terremoti è proporzion­ale alla lunghezza delle faglie, che sono in media di 20 chilometri». Si può quasi tracciare un identikit di questi sismi: «La magnitudo fra 5 e 6 è una costante che tende a ritornare, salvo eccezioni; l’estensione dell’area colpita tende a non essere grandissim­a ma nemmeno molto localizzat­a; a pochi chilometri di distanza si possono trovare paesi distrutti o risparmiat­i dalla tragedia». La disomogene­ità degli effetti dipende «dall’amplificaz­ione dovuta alla topologia e alle condizioni locali delle rocce», ci spiega Salvati. Ma anche da quando e da come sono stati costruiti (o ricostruit­i) gli edifici. «La terra si muove, i terremoti avvengono, dobbiamo conviverci». Questo significa portare avanti ricerche a tappeto, lunghe e onerose, di microzonaz­ione, che consentano di stimare il rischio in modo sempre più dettagliat­o in questa zona. E soprattutt­o sistemare il patrimonio immobiliar­e vulnerabil­e: ognuno di noi dovrebbe sapere quali sono i muri portanti della sua casa, quando è stata costruita, quali normative erano in vigore. «Bisogna farlo in tempo di pace, per così dire, senza aspettare la prossima emergenza». Non sappiamo quando accadrà di nuovo, ma sappiamo che succederà. Fra l’ipotetica strategia di San Sismino e quella di Rocca Sismina, non c’è dubbio che dovrebbe fare scuola la seconda.

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