Il giovane portabandiera eritreo che chiese asilo a Londra 2012
Nella foto più piccola qui sopra (Human Rights Watch) una manifestazione degli Oromo della regione Oromia risalente allo scorso dicembre 2015. Tutti fanno il famoso gesto delle manette, ormai diventato un vero e proprio simbolo della protesta di casa sua sono diventate il simbolo di una rivolta che negli ultimi mesi sta infiammando (nel silenzio internazionale) il Paese del miracolo economico africano (la cui stabilità è cara all’Occidente), la seconda nazione più popolosa del Continente con 95 milioni di abitanti e forti squilibri sociali che prendono la forma di tensioni etniche.
«Il governo etiope sta uccidendo il mio popolo — ha detto il ventiseienne Lilesa dopo la gara —. Io sostengo la loro protesta, perché gli Oromo sono la mia gente. I miei familiari sono in prigione, se osano Il 27 luglio 2012, Weynay Ghebresilasie sfila alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra come portabandiera del suo Paese, l’Eritrea. Il ragazzo ha da poco compiuto 18 anni, ed è un mezzofondista di talento, specializzato nei 3.000 siepi. Il 3 agosto corre nella sua batteria, classificandosi al decimo posto e non riuscendo a centrare la finale. Nove giorni più tardi, il 12 agosto, Weynay sta guardando la gara della maratona maschile nel villaggio olimpico insieme ai compagni del team dell’Eritrea. Nel mezzo della gara, si allontana senza dire nulla. Non farà mai più ritorno al villaggio e nemmeno in Eritrea, perché decide di chiedere asilo alla Gran Bretagna, preoccupato per il suo futuro sotto un regime che «non ti tratta come un atleta» ma impone a tutti estenuanti periodi di lavori obbligatori. Invece di sparire nel nulla, come fatto da altri atleti del Corno d’Africa, Ghebresilasie ha il coraggio di raccontare la sua storia al Guardian: «La situazione costringe le persone a fare cose che potrebbero costare loro la vita, ma qualche volta non c’è scelta». L’Eritrea non è nuova a episodi di Richiedente asilo Weynay Ghebresilasie, oggi 22 anni, chiese asilo nel 2012 al Regno Unito. La minaccia del servizio civile obbligatorio imposto dalla dittatura in Eritrea lo ha spinto a compiere il gesto «diserzione sportiva». La storia della sua Nazionale di calcio è costellata da diversi ammutinamenti di gruppo: la squadra parte per una trasferta, ma sul volo di ritorno alcuni giocatori risultano assenti perché chiedono asilo allo Stato in cui si è giocata la partita. L’ultima volta nell’ottobre 2015: dopo la partita di qualificazione ai prossimi Mondiali giocata in Botswana, dieci giocatori non tornano più indietro. Nel 2013, invece, ben 15 avevano ottenuto asilo in Uganda.