Corriere della Sera

Io che ho resistito agli assalti di Carlo Verdone

- Di Elvira Serra

Gannali di famiglia registrano il primo fatto increscios­o in tenera età. «Mio fratello tentò di soffocarmi con la mollica di pane mentre ero seduto nel seggiolone». In verità, la versione è dubbia. «Forse voleva darmi da mangiare e basta. Ma è risaputo che soffrisse molto per la mia nascita, non sopportava di dividere l’affetto della mamma». Molti anni dopo, un’altra clamorosa aggression­e: «Ci stavamo prendendo a cazzotti e con un pugno mi spedì contro lo spigolo del letto». Qui, sembra tutto chiaro. «Sbattei la testa e rimasi ferito gravemente. Avevamo litigato perché non voleva restituirm­i dei soldi che gli avevo prestato. Avevamo una paghetta di 1.500 lire a settimana: ci compravamo gli scarpini per il calcio, andavamo allo stadio a vedere la Roma...».

Luca Verdone, 63 anni il cinque settembre, è sopravviss­uto indenne a questi due evi- denti attentati e, con animo sgombro dall’amarezza, ricorda seduto sul divano del suo studio a due passi da Campo de’ Fiori l’infanzia trascorsa con il fratello maggiore Carlo a Lungotever­e dei Vallati 2, nella famosa casa sopra i portici che il nonno materno, direttore generale e segretario della Federazion­e Tabacchi, aveva ottenuto in affitto dal Vaticano. «Io e Carlo abbiamo tre anni di differenza. Condividev­amo la camera con i letti a elle. Una intera parete era dedicata all’armadio a muro con i vestiti di tutta la famiglia, il che significav­a un continuo andirivien­i di governanti e donne di servizio. La stanza era talmente grande che ci giocavamo a calcio, bastava mettere due birilli per terra per la porta: abbiamo sfasciato un bel po’ di cose...».

Anche il terrazzo era la sede eletta per giochi straordina­ri. «Organizzav­amo tornei di tennis con le racchette da ping pong facendo i segni sul pavimento, in mezzo a oleandri, lecci, limoni, nespoli, rampicanti di ogni genere. Al piano di sopra abitavano i fratelli Baldi con i quali ingaggiava­mo battaglie con lanci di pomodori e uova. Una volta si prese un bel pomodoro in faccia l’ingegner Baldi in persona, che era funzionari­o del ministero degli Esteri. Un altro hobby che ci dava parecchia soddisfazi­one, soprattutt­o intorno ai 15 anni, erano gli appostamen­ti con i binocoli verso l’albergo di fronte, dove le turiste prendevano il sole senza vestiti».

La casa era sempre ben frequentat­a: papà Mario, critico cinematogr­afico e docente di Storia del cinema; mamma Rossana, intellettu­ale, insegnante di italiano e storia. «Era molto amica del professor Gerardo D’Agostino, primario al Regina Margherita, e noi stavamo a origliare le loro telefonate quando gli chiedeva consigli per le amiche. È nata lì la passione di Carlo per le malattie: lui non è ipocondria­co, non è un fifone; piuttosto lo definirei un clinico diagnostic­o, gli piace interpreta­re i sintomi e suggerire la cura».

In questo turbine di ricordi è quasi assente Silvia, la sorelli

I giochi In camera da letto giocavamo a calcio. Avevamo una paghetta di 1.500 lire a settimana: con quei soldi andavamo allo stadio

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