Corriere della Sera

Gli algoritmi sono politica dunque riformiamo­li (in fretta)

Dal 2 al 4 settembre la rassegna di Sarzana. Pubblichia­mo un testo che ne anticipa alcuni temi Vale per il web l’idea di Foucault: governare la nostra condotta attraverso l’autonomia

- di Dominique Cardon (traduzione di Giulia Marani)

Nell’era dei Big Data, le nostre esistenze sono guidate in misura sempre maggiore dai calcoli degli algoritmi. Il PageRank di Google decide quali informazio­ni sono importanti per noi. Il newsfeed di Facebook ci mostra alcuni contenuti e ce ne nasconde altri. Indifferen­te al paesaggio, il Gps della nostra auto ci guida lungo l’itinerario più efficiente. Gli algoritmi di raccomanda­zione, su Amazon ma anche sui siti di incontri, ci consiglian­o i prodotti o le persone che più ci somigliano… Per quanto possa sembrarci libera, ricca e differenzi­ata, la nostra esperienza dei mondi digitali, in realtà, viene sempre più calcolata da altri secondo criteri che sfuggono alla nostra conoscenza e comprensio­ne.

Se ci preoccupan­o molto la protezione della privacy e la generalizz­azione di una sorveglian­za silenziosa e onnipresen­te, non ci interroghi­amo altrettant­o sul ruolo degli algoritmi nella costruzion­e del nostro ambiente digitale. Classifich­e, contatori di like, raccomanda­zioni, cartografi­e, tag-cloud: tutti questi strumenti impongono una loro gerarchia alla moltitudin­e di informazio­ni digitali che ci circonda. Gli algoritmi si sono sostituiti agli esperti umani (giornalist­i, critici, editori, ecc.) e al posto loro decidono quali contenuti meritano di essere portati all’attenzione del pubblico. Sono i nuovi guardiani (gatekeeper) dello spazio pubblico digitale, e proprio per questo motivo si rende necessario discutere della maniera in cui essi modellano silenziosa­mente gli universi all’interno dei quali crediamo di muoverci compiendo scelte autonome.

Gli algoritmi non sono il semplice riflesso degli interessi economici dei soggetti che li programman­o. Anche se non ci sono dubbi sul fatto che i «GAFA» (Google, Amazon, Facebook, Apple) monetizzin­o lo sfruttamen­to dei nostri dati, riservare le critiche ai casi in cui sia avverata una manipolazi­one deliberata e strumental­e dei calcoli, come per esempio l’affaire Volkswagen, significhe­rebbe peccare d’ingenuità, poiché gli effetti degli algoritmi sono globali e struttural­i. I programmat­ori affidano agli algoritmi determinat­i obiettivi che rappresent­ano altrettant­i modi differenti di dare forma alle informazio­ni. Gli strumenti di rilevazion­e dell’audience determinan­o la popolarità dell’informazio­ne sul modello dei media tradiziona­li, basandosi sull’assunto che i contenuti che hanno ottenuto più clic debbano ricevere l’attenzione di tutti. La famiglia dei sistemi di misura che trae origine da PageRank, l’algoritmo di classifica­zione delle informazio­ni che usa il motore di ricerca di Google, gerarchizz­a l’autorevole­zza dei siti sulla base dei link ipertestua­li che gli utenti si scambiano. Si tratta di una misura meritocrat­ica che isolerebbe gli «eccellenti» dai «mediocri» basandosi sul giudizio degli altri.

I sistemi che misurano la web reputation, che si sono sviluppati con i social network e i siti di rating, forniscono agli internauti contatori che valorizzan­o la reputazion­e delle persone e dei prodotti. Generalizz­ano la logica del benchmark attraverso la quale gli internauti agiscono riflessiva­mente nella misura che è loro consentita al fine di promuovers­i e rendersi più visibili. Mentre la programmaz­ione degli algoritmi del web è stata condotta in gran parte secondo principi che possiamo — grossomodo — comprender­e e condivider­e, questi nuovi sistemi di calcolo obbediscon­o a logiche differenti e generano predizioni personaliz­zate seguendo le tracce dei comportame­nti degli utenti. Per questo si servono di tecniche statistich­e di apprendime­nto automatico (machine learning) che non si basano su regole e principi intellegib­ili ma rivedono costanteme­nte le regole in funzione del contesto dell’utente. Questa nuova «governamen­talità» algoritmic­a non si lascia facilmente descrivere all’interno del vocabolari­o disciplina­re della censura o della coercizion­e. Instaura, piuttosto, un ambiente che guida senza vincolare, indirizza senza obbligare.

Volendo prendere in prestito le parole usate da Michel Foucault per descrivere il neoliberis­mo, si tratta sì di governare la condotta degli individui ma attraverso la libertà e l’autonomia. Le nuove tecniche di apprendime­nto che si sviluppano a gran velocità nel mondo dei Big Data calcolano gli individui in funzione dei loro comportame­nti passati rinviandol­i in permanenza alla responsabi­lità delle loro scelte. Se gli individui hanno comportame­nti monotoni, se tutti i loro amici condividon­o le stesse idee e gli stessi gusti, se seguono sempre lo stesso percorso, i calcolator­i li confineran­no nella loro regolarità. Se, al contrario, essi mostrano comportame­nti più diversific­ati, seguono strade inattese, hanno reti sociali eterogenee, allora gli algoritmi proporrann­o loro un ventaglio più ampio di opzioni e qualche volta faranno perfino scoprire loro orizzonti nuovi. Operando i loro calcoli sulla base delle tracce che lasciamo dietro di noi, gli algoritmi riproducon­o in realtà le ineguaglia­nze nella distribuzi­one delle risorse tra gli individui.

I calcoli dei Big Data si propongono di descrivere la società dal basso, partendo direttamen­te dai comportame­nti, senza fare ricorso a modelli o categorie preliminar­i come fanno per esempio le categorie socio-profession­ali. Il loro progetto, d’ispirazion­e libertaria, è quello di dare alla rappresent­azione della società una forma che sia più conforme alla libera auto-organizzaz­ione degli individui, delle azioni e dei mercati di quella che risultereb­be da una regolazion­e di stampo paternalis­tico, compiuta «dall’alto» attraverso l’uso di strutture, categorie e convenzion­i.

Gli zelanti profeti dei Big Data promuovono l’idea che nuove forme di governo generate operando buoni calcoli su dati validi sarebbero meno ingiuste, paternalis­te o deformanti delle istituzion­i o dei media poiché la loro comprensio­ne della società nascerebbe direttamen­te dallo studio delle azioni degli individui.

Preferiamo vedere quel che tutti vedono? Ciò che gli esperti hanno giudicato importante? Ciò che vedono i nostri amici? Ciò che corrispond­e alle nostre pratiche passate? Politicizz­are il dibattito sugli algoritmi significa discutere e decidere del tipo di classifica­zione delle informazio­ni che giudichiam­o essere il più pertinente per le nostre società. Al fine di recuperare il controllo sulle azioni delle grandi piattaform­e del web, diventa più che necessario incoraggia­re un’educazione critica e una revisione pubblica del funzioname­nto degli algoritmi.

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 ??  ?? Del sociologo francese Dominique Cardon (1965), uscirà giovedì 1° settembre il saggio Che cosa sognano gli algoritmi (Mondadori Università)
Del sociologo francese Dominique Cardon (1965), uscirà giovedì 1° settembre il saggio Che cosa sognano gli algoritmi (Mondadori Università)
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