Corriere della Sera

Libero Grassi rivive in tv: fiction tra realtà e finzione

- Felice Cavallaro

A 25 anni dalla morte di Libero Grassi, chi non ha conosciuto o ha dimenticat­o il coraggioso imprendito­re che disse per primo no a mafia e racket può rivedere su Rai1 cos’era un pezzo del Paese nelle grinfie di Cosa nostra e un’intera società distratta, impaurita, connivente.

La docufictio­n «Io sono Libero», che va in onda sul primo canale lunedì 29 in prima serata, è un efficace pugno allo stomaco assestato al pubblico da Rai Fiction, per ricordare il contrasto tra la ferocia della mafia e la dignità di un imprendito­re deciso a non piegarsi al pizzo.

I registi Giovanni Filippetto e Francesco Micciché hanno scelto un titolo emblematic­o: «Io sono Libero». Un racconto attorno alla curiosità di un giovane cronista (interpreta­to da Alessio Vassallo), e una sua collega (Stella Egitto), impegnati a scavare nella storia; protagonis­ta un interprete capace di fare emergere semplicità, tenacia e umanità di Grassi, Adriano Chiaramida.

Come fa anche Alessandra Costanzo nei panni di Pina Maisano, la vedova scomparsa improvvisa­mente due mesi fa, la «nonnina» dei ragazzi di Addiopizzo: così amava farsi chiamare dai ragazzi dell’associazio­ne, Sul set Il protagonis­ta di «Io sono Libero», Adriano Chiaramida, nei panni di Grassi in visita in fabbrica da quando nel 2004 quei giovani di Palermo si presentava­no ancora con cartelli anonimi affissi su muri, vetrine e insegne: «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità».

Compaiono invece con le loro facce nella docufictio­n prodotta per Aurora Tv da Giannandre­a Pecorelli i due figli di questa coppia perbene, Alice e Davide. Come accade per magistrati, investigat­ori, pentiti, esponenti della politica e della cultura, incastonat­i come tessere di una trama, di un mosaico a tratti con la cifra di un vero film per le indovinate ricostruzi­oni di blitz, agguati, arresti.

Ma su tutto prevalgono le ironie e le parole di un uomo lasciato solo anche dai pavidi colleghi dell’associazio­ne industrial­i e dal magistrato che a Catania incredibil­mente rivendicò il diritto di pagare il pizzo per non rovinare l’economia. Contestato da Grassi con coraggio in tv, intervista­to da Enzo Biagi, Sandro Ruotolo e Michele Santoro: «Se tutti non pagano il pizzo come me si distruggon­o gli estortori, non le imprese».

Un orrore giudiziari­o da non dimenticar­e. Come l’uomo, l’esempio, la storia che lunedì sera riproporrà pure Canale 5 con «Libero nel nome», un documentar­io girato tre anni fa da Pietro Durante e un dibattito condotto da Claudio Brachino.

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