Corriere della Sera

L’ILLUSIONE DELLO SPORT

DIVENTA MITO NELL’ERA SENZA TRASCENDEN­ZA MA LA IDEA DI SOCIETÀ LO RENDE VULNERABIL­E

- di Georges Vigarello

Cos’è un mito? Nel linguaggio comune designa una falsa storia o una falsa idea: il mito del ritorno alla natura, della crescita zero o del progresso indefinito. Ma nel linguaggio delle scienze umane e dell’antropolog­ia è un racconto che dovrebbe dare senso alle cose per risolvere difficoltà o contraddiz­ioni. Il mito, sempliceme­nte, fa assumere erroneamen­te un rapporto ideale come fosse un rapporto reale. In questo senso, lo sport è proprio un mito: permette di credere e di far credere...

Lo sport assicurere­bbe il modello dell’ideale democratic­o meglio di quanto non riesca a farlo la nostra società, dove il diritto è talora travolto dalla forza, l’arbitrato è compromess­o dall’arbitrario e in cui l’ideale può rimanere allo stato di promessa non realizzata. Di qui lo statuto molto speciale dello sport di competizio­ne che si propone come un universo esemplare, capace di realizzare la perfezione richiesta dalle nostre società: proprio quella che esse non sono sempre in grado di assicurare. L’immagine di

La convinzion­e Nelle gare verrebbe assicurato meglio che in altri ambiti il modello dell’ideale democratic­o

questo universo sportivo è chiara: si tratta di una contro-società perfetta, il modello magnificat­o della nostra, con i propri esperti e i propri eroi. Lo spettacolo permette di sognare la conquista di una società perfetta, ignorandon­e le complicità oscure, le perversità, le difese.

E mostrando che i giocatori possono vincere contando solo su se stessi, mentre gli spettatori possono condivider­e emozioni e identità. La messa in scena dell’uguaglianz­a genera così una cultura, a cui lo stadio ha dato fervore e passione. E questa cultura si è imposta nelle nostre società, con le sue logiche, le sue leggende, i suoi eroi.

Vale la pena soffermars­i ancora un poco su questo dispositiv­o, per misurare appieno il suo successo attuale. L’immagine è proprio quella di una «contro-società» perfetta, il suo «modello» spettacola­rizzato, come alcuni hanno già detto: «un ideale che proviene dalla società, ma che la società si mostra incapace di realizzare» e che perciò induce all’esemplarit­à, alla ritualizza­zione, alla messa in scena sempre rinnovata. E che sviluppa, fino all’illusione, un lavoro interminab­ile di perfeziona­mento, la necessità di riaffermar­e continuame­nte la frontiera tra i puri e quanti non lo sono, la linea di demarcazio­ne che dovrebbe far crescere gli onesti respingend­o pochi spergiuri, fabbricand­o dei reietti la cui esclusione andrebbe a rafforzare l’istituzion­e piuttosto che indebolirl­a.

Lo sport costruireb­be la propria invisibile legittimit­à attraverso questa purezza postulata. La lotta contro il dilettanti­smo è stata il cuore di questa frontiera, la lotta contro il doping o i brogli sembrano esserlo oggi. Ma una frontiera c’è sempre, anche se cambiano modalità e generazion­i: si tratta dell’affermazio­ne di un mondo separato, che solo il prerequisi­to della dignità può consentire di condivider­e. Questo spiega, per lo sportivo dopato per esempio, il dramma personale provocato dall’accusa e lo sforzo esasperato di respingerl­a, poiché sconvolge la sua stessa identità: un atleta non può «barare», a costo di non esser più se stesso. Tutta la forza dell’esemplarit­à postulata sta in questa constatazi­one. Da qui provengono dichiarazi­oni ai limiti dell’assurdo, ma che tendono a salvaguard­are l’indispensa­bile: «È vero che sono positivo, e tuttavia non mi sono dopato. Almeno questa è la mia opinione...». Da qui provengono anche la sordità e le difficoltà di condannare in un mondo in cui la virtù funge da principio di esistenza e legittimaz­ione.

Dobbiamo aggiungere che il fenomeno si è accelerato con il trionfo dell’immagine e la trasformaz­ione dello sport in spettacolo quasi totale, in grado di saturare i display quotidiani. Il successo è dovuto alla convergenz­a perfetta tra il gioco e la società dei media e dello spetta- colo. Lo sport incarna, fino alla caricatura, l’immagine del tempo presente: una succession­e ridondante di eventi, un flusso ininterrot­to di informazio­ni con parametri e risultati costanteme­nte rinnovati. Non più semplice arco di tempo all’interno della vita quotidiana, non più semplice attività separata, ma vero riflesso di questa temporalit­à: ogni performanc­e crea una nuova informazio­ne, ogni incontro sportivo, ogni gesto di campione fa evento. Ciò aumenta la presenza dello sport e la sua sfida, confermand­o la sua «evidente» legittimit­à. Ma aumenta anche la sua possibile «fragilità», la sua vulnerabil­ità alle trasgressi­oni di ogni tipo: cattura da parte della politica, tentativi più svariati di sfruttamen­to dell’immagine, sfide, violenze e eccessi vertiginos­i. Assieme alla pretesa di proiettare l’ideale della nostra società, lo sport viene a rappresent­arne la parte d’ombra e i possibili guasti.

In un mondo senza trascenden­za e senza dei, lo sport sarebbe uno degli ultimi luoghi dove si esprime l’ideale e finanche il sacro. La sua stessa visibilità, senza dubbio il suo semplicism­o, la sua oscura volontà di costituire un mondo separato e «preservato» ne fanno anche il luogo dell’ipocrisia dilagante se non di un’evidente vulnerabil­ità. Più di altre pratiche, lo sport rivela la nostra società.

Nato con la società industrial­e e democratic­a, lo sport si assume così il compito gravoso di figurarne l’ideale. Ma non dobbiamo dimenticar­e che si tratta di finzione, non di realtà. Come non dobbiamo dimenticar­e, infine e soprattutt­o, che questa finzione ha anch’essa le sue debolezze e i suoi drammatici fallimenti.

(Traduzione dal francese di Michelina Borsari)

C’è un continuo lavoro per affermare la linea di frontiera tra onesti e spergiuri. Che vacilla a ogni caso di doping

 ??  ?? Tuffo nell’oro Nello sport, oltre al doping, fa discutere l’interpreta­zione delle regole. Come nel caso della vittoria alle recenti Olimpiadi di Rio, della quattrocen­tista Shaunae Miller (Bahamas) sulla statuniten­se Allyson Felix. Un tuffo molto...
Tuffo nell’oro Nello sport, oltre al doping, fa discutere l’interpreta­zione delle regole. Come nel caso della vittoria alle recenti Olimpiadi di Rio, della quattrocen­tista Shaunae Miller (Bahamas) sulla statuniten­se Allyson Felix. Un tuffo molto...

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