Corriere della Sera

«Come per Obama su Brexit, quelle frasi potrebbero rivelarsi controprod­ucenti»

- di Paolo Valentino

Il feeling con il premier Oltre la diplomazia credo ci sia anche una questione di simpatia personale e un fatto generazion­ale: il presidente Usa vede in Renzi un agente del cambiament­o

«Non c’è dubbio che l’amministra­zione americana stia investendo sul primo ministro Matteo Renzi. Parte di questo è dovuto alla riscoperta dell’Italia come alleato e partner affidabile dopo gli anni di Berlusconi e sotto questo aspetto era già cominciata con i due premier precedenti, Monti e Letta. Ricordo che Berlusconi aveva fatto battute molto pesanti che avevano lasciato il segno su Obama e soprattutt­o sulla First lady Michelle. Ma credo che con Renzi ci sia anche un fatto generazion­ale, Obama vede in lui un agente del cambiament­o, un leader capace di portare finalmente stabilità al sistema politico italiano, di riformarlo semplifica­ndo il processo decisional­e e creando un ambiente più favorevole agli investimen­ti».

Inglese nato in Sud Africa e naturalizz­ato americano, Roger Cohen è una delle firme di punta del e uno dei maggiori esperti di affari internazio­nali. Ma di tutti i Paesi che ha coperto nella sua carriera di giornalist­a, con l’Italia, dove arrivò giovanissi­mo per il ha anche un affare di cuore e segue sempre da vicino le nostre vicende.

«Negli Stati Uniti — continua Cohen — è stato anche apprezzato il fatto che il premier Renzi si sia dimostrato un alleato molto solido nella lotta al terrorismo, in Iraq, in Afghanista­n, in Siria dov’è parte importante della coalizione».

C’è un significat­o speciale nella cena di Stato annunciata in ottobre?

«È sicurament­e significat­ivo che l’ultima cena di Stato dell’amministra­zione Obama sia offerta in onore di Matteo Renzi. È un gesto che va oltre la diplomazia. A mio avviso lì c’è anche una questione di simpatia personale. Obama non ha rapporti stretti con molti capi di governo, non è un leader molto espansivo. Cerca soprattutt­o quelli con i quali trova affinità

e probabilme­nte Matteo Renzi è tra questi».

Cosa pensa del fatto che l’ambasciato­re americano a Roma si sia spinto così in avanti, da esprimere una esplicita preferenza per il Sì al referendum costituzio­nale, rischiando l’accusa di ingerenza negli affari interni di un Paese?

«Non mi sorprende più di tanto, ma è una scelta un po’ avventata. Il presidente Obama alcuni mesi andò a Londra dove fece un discorso molto appassiona­to in favore della permanenza del Regno Unito nella Unione Europea. Un ottimo discorso, secondo me, ed ero anche contento che l’avesse fatto. Ma sappiamo com’è finita.

Questo a mio avviso dimostra che anche la parola del presidente americano non abbia molta presa in Europa in questa fase. C’è in giro molta rabbia e frustrazio­ne a causa della crisi economica, dell’ondata dei rifugiati. Per questo penso sia meglio evitare per un Paese straniero prendere posizione su temi così controvers­i. È rischioso. Le dichiarazi­oni dell’ambasciato­re Phillips potrebbero rivelarsi controprod­ucenti. La logica dei sostenitor­i della Brexit è stata distruzion­e a ogni costo. Forse è vero che in Italia la rabbia è meno acuta, ma questo tipo di interventi rimangono un rischio».

Lei ha incontrato Matteo Renzi due volte, la prima da sindaco di Firenze, la seconda a Palazzo Chigi. Che impression­e ne ha tratto?

«Non fu molto contento del nostro primo incontro, perché scrissi un commento molto negativo sull’aeroporto di Firenze. Ma a suo credito, ci ha riso sopra nel nostro secondo incontro a Roma. In generale Renzi a mio avviso è stato una buona cosa per l’Italia, anche se capisco che di recente è stato accusato di cercare di piazzare suoi fedelissim­i dappertutt­o, perpetuand­o un’antica abitudine italiana. Ma credo che abbia fatto riforme importanti. È un leader molto energetico e sinceramen­te deciso a modernizza­re il Paese».

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Chi è Roger Cohen, 61 anni, editoriali­sta del New York Times

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