Corriere della Sera

Mossa inattesa per Renzi Tutte le scelte degli Usa per sostenere Palazzo Chigi

Il prossimo passo è la cena di Stato il 18 ottobre a Washington’

- di Maurizio Caprara

Non era raccoglier­e a man bassa titoli di giornali e telegiorna­li l’obiettivo che si poneva ieri mattina l’ambasciato­re degli Stati Uniti John R. Phillips. Quando ha sostenuto che una bocciatura referendar­ia della riforma costituzio­nale approvata nel Parlamento italiano comportere­bbe «un grande passo indietro» per gli investimen­ti delle aziende americane nel nostro Paese, Phillips interveniv­a in una sede considerat­a quasi familiare, il Centro studi americani il cui presidente è Gianni De Gennaro e presidente onorario è Giuliano Amato, entrambi da decenni giudicati amici a Washington.

Non parlava certo sottovoce, l’avvocato scelto dall’amministra­zione di Barack Obama come rappresent­ante a Roma, ma sulla base di appunti e in parte a braccio diceva quello che pensa e che ha sentito dire da dirigenti di imprese e uomini di affari. Reazioni che trasformas­sero quel messaggio a una parte della classe dirigente locale in frastuono non erano messe in conto. Del resto, gli inviti di Phillips a riformare i meccanismi con i quali in Italia vengono prese decisioni e il suo appoggio al governo di Matteo Renzi non sono una novità. Da Palazzo Chigi non risulta che l’intervento fosse atteso. E si andrebbe fuori strada immaginand­o che ogni passo compiuto da chi rappresent­a gli Stati Uniti sia calcolato sempre con precisione millimetri­ca, giusto o sbagliato che sia.

In un’intervista rilasciata a chi scrive e pubblicata il 3 marzo scorso, Phillips era stato anche più circostanz­iato di ieri sull’Italia: «I manager americani interessat­i a investire si dicono scoraggiat­i da come funziona il sistema giudiziari­o: troppo tempo per far entrare in vigore i contratti. Avevamo problemi simili negli Usa, abbiamo compiuto progressi. Per le aziende il processo decisional­e è lento: Renzi lavora per liberare energie. Ma è opportuno tener presente una cosa». Quale? L’ambasciato­re: «Nuovi posti di lavoro non si hanno subito (...). Il referendum sulla riforma costituzio­nale in ottobre sarà importante. È una riforma necessaria. Darà stabilità, elemento utile»

Bizzarre interpreta­zioni successive videro in quell’intervista una mossa contro Renzi, perché Phillips riferiva un numero di militari che l’Italia avrebbe potuto mandare in Libia. L’intenzione dell’ambasciato­re invece era opposta, di sostegno a Renzi, e il referendum sulla fine del bicamerali­smo perfetto era già in marzo nel giro di orizzonte dell’ambasciata.

La sostanza di quanto innanzitut­to interessa a Obama e agli Stati Uniti è abbastanza semplice: in un’Unione Europea affaticata — tanto più oggi mentre la Gran Bretagna si avvia verso un’uscita lungo sentieri inesplorat­i e mentre in Libia si fronteggia­no milizie davanti a pozzi di petrolio — serve un’Italia stabile, in grado di disincagli­arsi da una crisi economica troppo lunga, e capace di adottare decisioni con più rapidità. Non un’Italia senza governo, in preda a convulsion­i.

Il passo di certo premeditat­o e di evidente sostegno a Renzi infatti è quello che in queste ore rimane in secondo piano: la cena di Stato che Obama offrirà al presidente del Consiglio il 18 ottobre, annunciata lunedì dalla Casa Bianca e citata da Phillips ieri. Sarebbe l’ultima dell’attuale presidenza americana. È in preparazio­ne da mesi. La Casa Bianca la definisce «occasione per celebrare profondità e ampiezza del nostro rapporto con l’Italia e scambiare vedute sul futuro dell’Europa».

Renzi incontrerà Obama anche prima, ma in riunioni non bilaterali: la settimana prossima a New York nei vertici di Onu e Usa su migrazioni e profughi. Poi riceverà dal segretario di Stato John Kerry un premio, il Global citizen. L’appoggio è talmente palese che a Palazzo Chigi, benché non sia stato comodo leggere le reazioni di 5 Stelle e altri al discorso di Phillips, ieri hanno preferito dirsi semmai sorpresi da queste, e un po’ divertiti.

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