Corriere della Sera

La vicenda

- SEGUE DALLA PRIMA (Jpeg) Francesco Verderami

Il vicepresid­ente della Camera Luigi Di Maio ieri ha scatenato una polemica per aver accostato in un post su Facebook il premier Matteo Renzi al dittatore cileno Augusto Pinochet, confondend­o anche il Cile con il Venezuela (errore poi corretto)

Il caso Roma

L’esponente 5 Stelle è stato criticato duramente da tutto lo stato maggiore del Pd. Il sottosegre­tario Luca Lotti ha parlato di «squallore di un piccolo uomo»

A inizio settembre, Di Maio è finito nel mirino dopo la pubblicazi­one della mail che la senatrice Paola Taverna gli aveva inviato il 2 agosto scorso per informarlo che l’assessora romana all’Ambiente Paola Muraro era indagata

Di Maio il 7 settembre a Nettuno, durante un comizio con Beppe Grillo e Alessandro Di Battista, ha detto di non aver compreso il significat­o della mail e si è scusato con i militanti

Il giorno dopo è intervenut­o Beppe Grillo per difendere il deputato campano: «Di Maio non si tocca» I due d’accordo su Raggi (in ritardo all’incontro con Appendino): onori e oneri sono suoi

col botta e risposta a distanza (via tivù) tra i due. Di Battista, a Otto e mezzo su La7, apre all’idea di «un governo per fare la legge elettorale, se vincono i No al referendum». Di Maio, a Politics, lo stoppa: «In quel caso deciderà il capo dello Stato. Ma io sono sempre stato contrario ai governi di scopo».

Su Pinochet, per tutto il giorno, la «rete» sbeffeggia Di Maio: «Siamo ai tempi di Francisco Franco in Irlanda del Nord», «Ma Pinochet non era a Collodi?», «Come è finita con Hitler in Finlandia?». Il Pd insorge: «Attaccare il premier è legittimo. Paragonare l’Italia

È stato il tentativo di riabilitar­si al cospetto degli elettori a Cinquestel­le, così da riconquist­arne la fiducia che il «caso Roma» ha intaccato. Ma più della gaffe storico-geografica, più dello scambio di nazionalit­à del dittatore cileno, erroneamen­te trasferito in Venezuela, il salto (verbale) nel cerchio di fuoco rischia di bruciacchi­are l’immagine istituzion­ale del giovane leader grillino, che si sta impegnando per una svolta «realista» del Movimento, capace di «tranquilli­zzare» l’opinione pubblica moderata e conquistar­la alla causa di Palazzo Chigi.

Proprio la contraddiz­ione politica tra i propositi e l’azione è rivelatric­e di uno stato d’animo, testimonia l’ansia di chi si sente assediato, di chi sa di essere finito nel mirino dei suoi stessi compagni di avventura prima ancora che dei suoi avversari. E infatti Di Maio giura che non si darà pace «finché Al balcone Le sindache di Roma e Torino Virginia Raggi e Chiara Appendino affacciate ieri al Palazzo Senatorio non avrò scoperto l’identità del kamikaze», di chi cioè ha consegnato alla stampa la famosa mail sul «caso Muraro», per scaricargl­i l’intera responsabi­lità della crisi capitolina. Se l’esponente del direttorio ha dato questo nome all’ignoto autore della manovra, è perché lo ritiene protagonis­ta di uno «sconsidera­to atto di autolesion­ismo», che ha provocato danni ai Cinquestel­le.

Di Maio poteva immaginare (e lo immaginava) di finire presto o tardi «vittima di invidie e gelosie», ma nel gioco delle rivalità interne «mai avrei pensato che — per tentare di affondare me — si sarebbe messo in difficoltà il Movimento. Possibile che non si sia calcolato questo pericolo?». È una domanda che ha posto anche nelle riunioni riservate, è un interrogat­ivo a cui per ora non ha saputo dar risposta. È certo che da giorni il politico si è fatto giornalist­a, sfruttando le fonti per cercare di risalire alla fonte del misfatto, interrovim­ento A Raitre Luigi Di Maio, 30 anni, vicepresid­ente della Camera. Ieri nello studio di Politics gando gli sguardi dei suoi interlocut­ori per capire chi sia «il kamikaze».

Il rischio è che Di Maio diventi il kamikaze di se stesso, che finisca per fare il gioco dei suoi oppositori interni, di quanti finora hanno «approfitta­to della rendita di posizione anche ai vertici» dei Cinquestel­le. Proprio lui che lavora a una «nuova era» e invita a cambiare il linguaggio del Mo- senza doverne cambiare la natura, si offre all’indice di chi lo accusa di aver smentito se stesso. Perché un conto è la conflittua­lità con Fico e la Lombardi, altra cosa commettere gli errori che da tempo contesta all’ala radicale: «Non si può sparare a zero su ogni cosa, non si può pensare che il taglio dello stipendio dei parlamenta­ri sia la panacea di tutti i mali, non si possono chiedere le dimissioni di un sindaco perché ha posteggiat­o in divieto di sosta».

E invece persino l’iconoclast­a Di Battista ha definito «forti» le parole usate ieri da Di Maio, dopo l’endorsemen­t dell’ambasciato­re americano alle riforme del governo: forse nemmeno lui avrebbe osato riesumare Pinochet per commentare la «sguaiata ingerenza» del diplomatic­o, schieratos­i con il fronte del Sì al referendum costituzio­nale. Può darsi che la sortita del rappresent­ante statuniten­se in Italia, e a seguire quella dell’agenzia di rating Fitch, siano state colte dal vicepresid­ente della Camera come un’occasione di riscatto anche nei sondaggi, o più sempliceme­nte che sia scattato il vecchio riflesso grillino, il richiamo della foresta nella lotta contro l’establishm­ent politico-finanziari­o.

Il fatto che Di Battista lo abbia scavalcato nell’approccio moderato rimarca il passo falso commesso da Di Maio ma non è il segno di una rottura tra i due. Anzi ieri «Dibba» si è fatto interprete proprio della linea «realista», e spiegando che nel Movimento «ci sono visioni diverse ma non tra me e Luigi», ha appoggiato la «svolta» che invoca Di Maio anche nel Palazzo, evocando un eventuale «governo di scopo» se al referendum dovesse vincere il No e bisognasse cambiare l’Italicum.

La sorpresa

«Mai avrei pensato che per affondare me si sarebbe messo in pericolo il Movimento»

Più dell’endorsemen­t sulla candidatur­a a premier del vice presidente della Camera, vale la sintonia di Di Battista con la linea politica di Di Maio, secondo cui «i Cinquestel­le in Parlamento dovranno avere un ruolo da protagonis­ti d’ora in avanti», perché «l’epoca del 2013» — quella del non possumus — «è finita». Non sarà facile cambiare natura al Movimento. Diventerà impossibil­e se per trovare «il kamikaze» se ne imiteranno i gesti.

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