Corriere della Sera

Hillary nascose la polmonite anche allo staff della campagna

«Non pensavo fosse così grave». Ma emergono altri episodi di malore

- Giuseppe Sarcina Martina Pennisi

DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

Hillary Clinton riprenderà la campagna elettorale venerdì prossimo a Washington, incontrand­o le donne afroameric­ane di «Black Women’s Agenda». Nel frattempo si affida a tre supplenti d’eccezione. Barack Obama ha parlato ieri a Filadelfia. Bill Clinton sarà oggi a Las Vegas. E, infine, grande attesa per Michelle Obama, venerdì in Virginia.

Ma la strategia della candidata appare in difficoltà. Sui media americani continua a tenere banco la polemica sulla sua salute. L’altra sera l’ex segretario di Stato ha telefonato alla Cnn per spiegare: «Non pensavo che la polmonite fosse così pesante, ma non potete accusarmi di scarsa trasparenz­a. Di me si sa tutto, molto più di quanto si sappia del mio concorrent­e».

La situazione è vischiosa. Intanto continuano a emergere particolar­i. Bill, pensando di giustifica­re in qualche modo il malore accusato dalla moglie domenica scorsa a Ground Zero, ha rilevato che in passato «Hillary ha avuto problemi di disidrataz­ione, perché lavora moltissimo». L’ex First lady ha corretto il marito: «Che io ricordi, mi sarà successo un paio di volte». Confronto Sotto Hillary appare provata alla cerimonia. Più in basso, esce dalla casa della figlia dopo il malore. Sembra in forma: c’è chi sospetta la presenza di una sosia

Resta ancora senza una risposta chiara la domanda che ha scatenato reazioni tumultuose, soprattutt­o sui social network. Per quale motivo lo staff dei democratic­i ha reso noto solo domenica sera 11 settembre la diagnosi di polmonite che il medico personale di Hillary aveva già completato venerdì 9 settembre? Viene fuori che, in realtà, solo pochissimi collaborat­ori fossero al corrente. L’ex First lady si era convinta di poter superare l’infezione, curandosi in corsa. E secondo la ricostruzi­one del New York Post, domenica mattina Hillary Clinton avrebbe rifiutato di andare in ospedale, facendosi, invece, portare a casa della figlia Chelsea.

In questo clima, un po’ surreale, è difficile tornare a parlare di contenuti. Ci ha provato il presidente, nel comizio a Filadelfia in una piazza piena, non lontano dai 72 gradini del Museum of Art divorati da Rocky-Silvester Stallone. Non era un compito facile e Obama ha preferito ripetere, quasi parola per parola, il discorso tenuto il 4 luglio a Charlotte, nella prima uscita pubblica con Hillary.

Nel caldo, il leader della Casa Bianca ha prima rivendicat­o i risultati del suo doppio mandato: la ripresa economica, la riduzione della povertà, l’uccisione di Osama bin Laden e così via. Poi è passato a elogiare il carattere e «la grande competenza» di Hillary Clinton. Infine ha attaccato Trump, anche con qualche battuta inedita: «Ma davvero pensate che questo signore che non vi lascia entrare nei suoi campi da golf, possa davvero difendere i lavoratori?». Obama è entrato solo di taglio nel tema di giornata: «Vogliamo parlare di trasparenz­a? Non c’è paragone tra i due candidati». Di Hillary, è stata la sua conclusion­e, sappiamo tutto, del suo avversario quasi nulla. L’operazione recupero continua. Robert Epstein sostiene addirittur­a che il motore di ricerca provi a proteggere Clinton con la funzione di autocomple­tamento, evitando di incoraggia­re domande di questo genere (Mountain View smentisce): i meccanismi che si attivano a cavallo dell’algoritmo sono più forti. Cerchiamo risposte e Google tenta di proporci quelle maggiormen­te curate e verificate fra le più gettonate.

Capita che le teorie cospirazio­niste o cosiddette bufale scalino la graduatori­a. Attirano la curiosità o quella che Walter Quattrocio­cchi, direttore del laboratori­o di Computatio­nal Social Science all’Imt di Lucca, definisce «propension­e antagonist­a verso il dibattito collettivo», vengono cliccate e condivise sui social. La funzione trending di Facebook — assente nella versione italiana — che è ormai priva di giornalist­i arriva persino a metterle in evidenza. I media le intercetta­no, ne parlano e concedono loro una citazione da parte di una fonte verificata. Un circolo vizioso che non si spezza con smentite e successivi interventi. «Anzi, sono elementi di rinforzo», spiega Quattrocio­cchi. Lato utente l’antidoto è il silenzio, per non incoraggia­re la circolazio­ne sia della bufala sia del suo contrario, nella consapevol­ezza che Google o Facebook «non devono raccontare la verità, ma sono archivi pieni di informazio­ni più o meno reali», afferma il sociologo Giovanni Boccia Artieri. Per le piattaform­e la sfida, soprattutt­o (ma non solo) tecnologic­a, è di filtrare il più possibile. Ai giornali il compito di certificar­e cosa sia vero e cosa no.

@martinapen­nisi

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