Hillary nascose la polmonite anche allo staff della campagna
«Non pensavo fosse così grave». Ma emergono altri episodi di malore
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Hillary Clinton riprenderà la campagna elettorale venerdì prossimo a Washington, incontrando le donne afroamericane di «Black Women’s Agenda». Nel frattempo si affida a tre supplenti d’eccezione. Barack Obama ha parlato ieri a Filadelfia. Bill Clinton sarà oggi a Las Vegas. E, infine, grande attesa per Michelle Obama, venerdì in Virginia.
Ma la strategia della candidata appare in difficoltà. Sui media americani continua a tenere banco la polemica sulla sua salute. L’altra sera l’ex segretario di Stato ha telefonato alla Cnn per spiegare: «Non pensavo che la polmonite fosse così pesante, ma non potete accusarmi di scarsa trasparenza. Di me si sa tutto, molto più di quanto si sappia del mio concorrente».
La situazione è vischiosa. Intanto continuano a emergere particolari. Bill, pensando di giustificare in qualche modo il malore accusato dalla moglie domenica scorsa a Ground Zero, ha rilevato che in passato «Hillary ha avuto problemi di disidratazione, perché lavora moltissimo». L’ex First lady ha corretto il marito: «Che io ricordi, mi sarà successo un paio di volte». Confronto Sotto Hillary appare provata alla cerimonia. Più in basso, esce dalla casa della figlia dopo il malore. Sembra in forma: c’è chi sospetta la presenza di una sosia
Resta ancora senza una risposta chiara la domanda che ha scatenato reazioni tumultuose, soprattutto sui social network. Per quale motivo lo staff dei democratici ha reso noto solo domenica sera 11 settembre la diagnosi di polmonite che il medico personale di Hillary aveva già completato venerdì 9 settembre? Viene fuori che, in realtà, solo pochissimi collaboratori fossero al corrente. L’ex First lady si era convinta di poter superare l’infezione, curandosi in corsa. E secondo la ricostruzione del New York Post, domenica mattina Hillary Clinton avrebbe rifiutato di andare in ospedale, facendosi, invece, portare a casa della figlia Chelsea.
In questo clima, un po’ surreale, è difficile tornare a parlare di contenuti. Ci ha provato il presidente, nel comizio a Filadelfia in una piazza piena, non lontano dai 72 gradini del Museum of Art divorati da Rocky-Silvester Stallone. Non era un compito facile e Obama ha preferito ripetere, quasi parola per parola, il discorso tenuto il 4 luglio a Charlotte, nella prima uscita pubblica con Hillary.
Nel caldo, il leader della Casa Bianca ha prima rivendicato i risultati del suo doppio mandato: la ripresa economica, la riduzione della povertà, l’uccisione di Osama bin Laden e così via. Poi è passato a elogiare il carattere e «la grande competenza» di Hillary Clinton. Infine ha attaccato Trump, anche con qualche battuta inedita: «Ma davvero pensate che questo signore che non vi lascia entrare nei suoi campi da golf, possa davvero difendere i lavoratori?». Obama è entrato solo di taglio nel tema di giornata: «Vogliamo parlare di trasparenza? Non c’è paragone tra i due candidati». Di Hillary, è stata la sua conclusione, sappiamo tutto, del suo avversario quasi nulla. L’operazione recupero continua. Robert Epstein sostiene addirittura che il motore di ricerca provi a proteggere Clinton con la funzione di autocompletamento, evitando di incoraggiare domande di questo genere (Mountain View smentisce): i meccanismi che si attivano a cavallo dell’algoritmo sono più forti. Cerchiamo risposte e Google tenta di proporci quelle maggiormente curate e verificate fra le più gettonate.
Capita che le teorie cospirazioniste o cosiddette bufale scalino la graduatoria. Attirano la curiosità o quella che Walter Quattrociocchi, direttore del laboratorio di Computational Social Science all’Imt di Lucca, definisce «propensione antagonista verso il dibattito collettivo», vengono cliccate e condivise sui social. La funzione trending di Facebook — assente nella versione italiana — che è ormai priva di giornalisti arriva persino a metterle in evidenza. I media le intercettano, ne parlano e concedono loro una citazione da parte di una fonte verificata. Un circolo vizioso che non si spezza con smentite e successivi interventi. «Anzi, sono elementi di rinforzo», spiega Quattrociocchi. Lato utente l’antidoto è il silenzio, per non incoraggiare la circolazione sia della bufala sia del suo contrario, nella consapevolezza che Google o Facebook «non devono raccontare la verità, ma sono archivi pieni di informazioni più o meno reali», afferma il sociologo Giovanni Boccia Artieri. Per le piattaforme la sfida, soprattutto (ma non solo) tecnologica, è di filtrare il più possibile. Ai giornali il compito di certificare cosa sia vero e cosa no.
@martinapennisi