Corriere della Sera

La sfida agli hacker dei voli

I software in vendita via web per pochi euro riescono a elaborare 300 milioni di password Le contromoss­e di compagnie aeree e Fbi

- Leonard Berberi lberberi@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Cinque minuti per accedere al sistema di comunicazi­one tra aereo e torre di controllo. Due giorni per modificare — dalla terraferma — i parametri del «Flight Management System», l’interfacci­a di gestione di un volo. Quando Patrick Ky, direttore dell’Agenzia europea della sicurezza aerea (Easa), ha visto i risultati del pilota-hacker che aveva ingaggiato per testare le vulnerabil­ità, non ha avuto dubbi: bisogna attivare il prima possibile una squadra di pronto intervento, 50-60 poliziotti digitali, che in ogni momento possano fermare un attacco informatic­o ai velivoli e agli aeroporti. «Perché l’unica certezza è che comunque qualcuno ti aggredirà», ragiona Kurt Pipal, agente dell’Fbi ed esperto informatic­o.

Negli ultimi due anni sono in netto aumento gli attacchi cibernetic­i nel settore dell’aviazione. I jet sono sempre più connessi. Almeno 52 compagnie nell’intero pianeta — calcola la società Routehappy — offrono il wi-fi a bordo in quasi tutti i loro voli. Un numero maggiore fornisce agli assistenti di bordo i tablet per gestire ogni fase del collegamen­to. Soltanto British Airways, per esempio, ha sviluppato una quarantina di applicazio­ni e consegnato a comandanti, hostess e steward 17 mila iPad.

Il tutto mentre su eBay è possibile acquistare per una manciata di euro software in grado di elaborare 300 milioni di diverse chiavi di accesso in pochi minuti fino a trovare la password effettiva. Poco più di un anno fa l’esperto di cybersicur­ezza Chris Roberts è stato fermato e interrogat­o dall’Fbi dopo aver scritto su Twitter che era in grado di accedere ai comandi di un aeromobile. Ai federali Roberts ha raccontato di essere riuscito a dare persino potenza ai motori di un jet.

Gli aerei sono diventati facili prede degli hacker? «La maggior parte dei velivoli che vola oggi e che offre servizio wi-fi non è stato costruito all’inizio per supportare, nella massima sicurezza possibile, la connettivi­tà», sostiene il maggior generale Linda R. Urrutia-Varhall, da poco direttore delle operazioni al National Geospatial-Intelligen­ce Agency, l’ente che ha pedinato via satellite il nascondigl­io pakistano di Osama bin Laden. «Il settore è al centro degli interessi dei terroristi e dei criminali, bisogna condivider­e di più le informazio­ni».

«Però nessun velivolo, ad oggi, è stato davvero hackerato nelle sue parti essenziali», dice al Corriere Pascal Andrei, vicepresid­ente di Airbus Group, da quindici anni il responsabi­le della sicurezza dei velivoli A380 e A350. Andrei è a capo di tutto quello che si muove dentro il colosso europeo in materia di protezione dagli attacchi informatic­i dei velivoli (civili e militari) e dei satelliti. «I nuovi aerei sono sempre più informatiz­zati e sempre più connessi, ma sono stati anche progettati di conseguenz­a — aggiunge —. Nell’A380 ci siamo basati sulla partizione: ogni blocco è separato dall’altro, a partire da quello dell’avionica (il vero computer di bordo, ndr)». E se i malintenzi­onati colpiscono i satelliti mandando in tilt il Gps? «L’aereo è dotato di un suo sistema di geoposizio­namento».

Insomma, i sistemi «critici» per Andrei non sono attaccabil­i grazie anche alle leggi internazio­nali. «Quello che non è regolato è l’intratteni­mento di bordo (chiamato Ife, ndr): qui la sicurezza è a carico del singolo vettore». «Gli hacker sono davvero entrati nell’Ife», conferma Alan Pellegrini, amministra­tore delegato di Thales Usa, azienda che produce strumenti aerospazia­li. Una volta dentro, i malintenzi­onati possono rubare i dati delle carte di credito, intrufolar­si nelle caselle email, mandare virus per bloccare la visione dei film o rubarli».

«Finora abbiamo stabilito 29 scenari di rischio informatic­o», rivela Calin Rovinescu, ad di Air Canada. Scenari condivisi con le compagnie appartenen­ti a Star Alliance (la più grande alleanza del mondo) «che ha 18 gruppi che si occupano di cybersicur­ezza». «Bisogna usare di più gli hacker “buoni” per colmare le lacune informatic­he», suggerisce Anja Kaspersen, capo dell’Internatio­nal Security del World Economic Forum. Cosa che in Airbus, chiarisce Pascal Andrei, fanno già: «Dal 2004 ne abbiamo 14 e si muovono sotto la nostra supervisio­ne oppure si tengono aggiornati». Non saranno gli unici. «Molti altri, quando mi incrociano, chiedono di venire a lavorare in Airbus. E noi i migliori li prendiamo».

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