Man Booker Prize, esclusi i big
Non sono entrati i «big» nell’elenco dei sei finalisti del Man Booker Prize, il più importante premio letterario anglosassone (che tra l’altro dal 2014 è aperto a tutti gli autori dei libri editi nel Regno Unito purché scritti in inglese).
La shortlist, annunciata ieri dalla presidente della giuria Amanda Foreman, è composta da autori di diverse nazionalità: l’inglese nata in Sudafrica Deborah Levy con il suo romanzo Hot Milk, lo scozzese Graeme Macrae Burnet con il libro His Bloody Project, l’anglocanadese David Szalay con le novelle di All That Man Is, due americani come Paul Beatty con The Sellout (uscirà per Fazi in ottobre con il titolo Lo schiavista) e Ottessa Moshfegh per Eileen, e la canadese Madeleine Thien con Do Not Say We Have Nothing. «I sei finalisti — ha spiegato Foreman — riflettono la centralità del romanzo nella cultura di oggi, e la sua abilità nel promuovere il non convenzionale e di esplorare il non familiare». Quanto ai temi, si va dall’omicidio razzista per Beatty al noir di Macrae Burnett.
La sorpresa è che sono fuori autori come il Pulitzer Elizabeth Strout, con il suo My Name Is Lucy Barton (in Italia Mi chiamo Lucy Barton, Einaudi), e soprattutto J. M. Coetzee, premio Nobel nonché due volte vincitore dello stesso Man Booker, che era in gara con The Schooldays of Jesus, oltre a nomi come Ian McGuire e l’esordiente David Means. Il riconoscimento, del valore di 50 mila sterline, circa 58 mila euro, sarà assegnato il 25 ottobre a Londra.