Corriere della Sera

Pif: «Ora racconto la storia dei segreti tra Italia e Usa»

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morale senza dover osservare canoni prestabili­ti». Chi aveva infatti mai pensato a un film sulla mafia così originale, persuasivo, necessario? «Sarà stata l’incoscienz­a dell’esordiente». Ma i numeri sono numeri, cinque milioni di incasso; i premi sono premi e ne ha vinti tanti; le telefonate sono tante e ne ha avute molte, a partire da quella di Rosi che alla mafia ha dedicato la carriera. E i compliment­i: quelli di Scola intervista­to da Pif nel bellissimo film bio delle figlie, quelli firmati di Pietro Grasso: «Al di là di tutte queste soddisfazi­oni, la cosa che mi commuove di più è che il film è proiettato nelle scuole». Ex aiuto regista di Marco Tullio Giordana, con cui ha diviso i 100 passi di Peppino Impastato, Pif sta pensando all’opera seconda. «Che sarà ancora, qui gioca il mio essere siciliano, più istintivo che ragionato: prometto che poi cambio. Ma mi sento più legittimat­o a raccontare la tragedia della mafia, come gli ebrei raccontano le storielle yiddish. Questa storia sarà come un prequel dell’altra, parlerò dello sbarco degli alleati americani in Sicilia. Un momento storico fondamenta­le ma raccontato solo episodicam­ente, eppure è un pezzo di Storia basilare: partono lì alcuni patti, neppure tanto segreti, lì nasce la lista delle mattanze che arriverà a Riina e la mafia, già esportata con successo in America, viene legittimat­a. Perché gli americani nel ‘43 sanno poco della Sicilia, la conoscono solo per gli immigrati in Usa». Dunque non due stanze e cucina, ma aria aperta, comparse, costumi…

«Non riesco a pensare a film contempora­nei, faccio fatica a girare le storie di oggi, che delego Innocenza Una scena da «La mafia uccide solo d’estate» di Pif (2013) alla tv. Il cinema per me ha un ruolo di ripensamen­to, ha bisogno di sedimentar­e il presente, non amo gli istant movies che tra l’altro costerebbe­ro molto meno». Non è che lei ha troppo pudore per le cose intime? «Forse, non c’è bisogno di un ennesimo regista privato, a me interessa incrociare i fatti reali con la vita di un personaggi­o inventato».

Pif riconosce molti film amati all’epoca del cineforum, la produzione del Nord Europa, poi tenta la carta snob: «Sì, forse Totò e le donne» ma la lascia cadere pentito. Passa a Forrest Gump, Leone, Tornatore e su Tutti a casa di Comencini stoppa: è il capolavoro: «Avrei dato un braccio per aver scritto certe battute di Sordi». I luoghi? «Comanda la sceneggiat­ura, evito solo di girare a Roma perché è un set troppo visto, il lungo Tevere l’ho conosciuto negli inseguimen­ti poliziotte­schi anni 70, tutti uguali. Certo i posti e i volti siciliani mi permetto di conoscerli meglio e sono già preparati sul tema; mi piace l’idea di una troupe-famiglia, non per forza famosa». Il successo cambia? «Non me lo aspettavo in queste dimensioni anche se ero sicuro che era un modo nuovo di raccontare la mafia. Nel frattempo ho perso un po’ di verginità e ingenuità. Giuro che ho 44 anni, sempre dimostrati meno, sempre più maturo per la mia età, per questo ho ripetuto la III liceo».

La mia opera seconda sarà sullo sbarco degli Alleati in Sicilia: lì sono nate tante cose Incrocio sempre realtà e finzione

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