Zanardi è leggenda, l’Italia d’oro
Zanardi, Vio, Legnante, Mazzone e Podestà sul tetto del mondo
Una giornata da incorniciare alle Paralimpiadi di Rio. Un pokerissimo che ha portato cinque ori all’Italia. Per Alex Zanardi è il terzo trionfo nella carriera. Nelle foto, da sinistra gli altri ori azzurri: Bebe Vio, Vittorio Podestà, Assunta Legnante e Luca Mazzone.
Omaggio La dedica dell’ex pilota a Tamberi: «Ti rifarai». La risposta: «Un dono immenso, ti sognerò»
RIO DE JANEIRO Una leggenda quando è ancora nella storia. Alex Zanardi e la sua handbike. Parabola infinita di un amore che sa trasformare in emozione lo stupore del mondo per quello che fa e come, a quasi 50 anni. La stessa emozione che ha lui sul podio con la medaglia d’oro fra le mani e le lacrime che scendono e non si fermano. Nessuna vergogna per l’uomo che ha cambiato la percezione dello sport paralimpico in Italia, il pilota di Formula 1 che ha perso le gambe e ora spinge con le braccia la bicicletta di chi non riesce a usare altro.
Alex Zanardi conquista il suo terzo oro paralimpico a Rio de Janeiro dopo i due vinti a Londra nel 2012, il primo dei suoi Giochi brasiliani, in una giornata storica per lo sport italiano tutto, con il cielo carioca pieno d’azzurro. Un altro oro di quelli per cui vale la pena di usare l’hashtag #oltre è quello di Bebe Vio, straordinaria per come è, che ha vinto nel fioretto alla sua prima volta in una Paralimpiade, diciannovenne alla quale a 11 anni hanno amputato braccia e gambe per una meningite. La gioia che si trasforma in lacrime dopo l’ultima stoccata mostra la nuova stella mondiale dello sport paralimpico, meravigliosa e contagiosa nella sua bellezza di ragazza che trasforma i sogni in realtà. E poi l’oro di Assunta Legnante, la più grande al mondo di sempre sulle pedane paralimpiche dell’atletica, al suo secondo oro nel getto del peso dopo Londra 2012, splendida «olimpica paralimpica», presente all’Olimpiade di Pechino, prima di perdere completamente la vista e non arrendersi. Ma per il ciclismo ci sono anche le medaglie d’oro di Vittorio Podestà, l’uomo che Zanardi ha incontrato per caso sulla sua strada in un autogrill vedendo sul tetto dell’auto per la prima volta l’handbike, e Luca Mazzone, oltre ai bronzi di Francesca Porcellato, una capace di vincere medaglie in ciclismo (qui) oltre che atletica e sci di fondo (in nove Paralimpiadi precedenti) e Giancarlo Masini. E nel nuoto l’argento di Federico Morlacchi nei 100 farfalla.
Bebe e Alex, a rappresentare il presente e il futuro di questo meraviglioso sport paralimpico che commuove ed emoziona. Zanardi bagna il podio con le sue lacrime mentre ascolta l’inno di Mameli su quel gradino dove altre volte è salito, ma mai così. Quattro anni fa c’era l’entusiasmo della prima volta e quel circuito, Brands Hatch, tante volte percorso in auto, questa volta la maturità porta emozione e pensieri di quello che è stato e ciò che è, di un incidente spaventoso che è nella memoria collettiva (era il 15 settembre 2001, al Lausitzring) rimasto con un litro di sangue in corpo, ma miracolosamente vivo e poi con le gambe amputate. Fra le dediche, quella a Tamberi, che ha mancato l’Olimpiade per un infortunio: «Un bacio metaforico, ti rifarai». E lui, di rimando: «Un dono immenso, ti sognerò».
La gara è stata difficilissima, con una rimonta straordinaria nell’ultimo giro, che lo ha portato all’oro: «È stata durissima, ancora mi chiedo come ho fatto. Una faticaccia incredibile, non so cosa mi è rimasto per le prossime gare, ma intanto questa è presa». Ancora due possibilità per fare un tris che non gli riuscì d’oro a Londra: oggi la gara in linea, domani il team relay, con Mazzone e Podestà, squadra da battere fatta solo di campioni paralimpici e mondiali.