Corriere della Sera

L’11 Settembre di Oriana Fallaci Oggi primo libro

- In edicola con il Corriere

Approdare a New York nel settembre di 15 anni fa fu come entrare in un vortice della Storia. Andai subito al cratere delle Torri gemelle, c’era l’incessante rumore metallico delle ruspe; i negozi attorno avevano una spessa patina di polvere e cenere: un’immobilità pompeiana immortalat­a anni dopo sulla copertina del romanzo di Jay McInerney Good Life. Ma la mia fonte di eccitazion­e e di inquietudi­ne era nell’Upper East Side, alla 61esima strada. Qui abitava Oriana Fallaci.

«Ti dobbiamo affidare un compito molto delicato e segretissi­mo». Era passata la mezzanotte di qualche giorno prima e Paolo Ermini, allora vicedirett­ore del «Corriere», mi richiamò al giornale con urgenza. «C’è un fatto eccezional­e, la Fallaci sta scrivendo un pezzo sull’11 settembre. Lei non si fida di nessuno, non intende consegnare il testo a segretarie, né vuole trasmetter­lo, teme soffiate. Mandiamo te a prenderlo. Tu voli a New York e aspetta che lei sia pronta». Era la soluzione accettata da Oriana dopo che il direttore Ferruccio de Bortoli, che era andato a trovarla appena fu riaperto lo spazio aereo, constatò l’impossibil­ità di farle un’intervista: Oriana si era già scritta le domande e le risposte. Ermini aggiunse: «Attenzione, questa donna è capace di gesti feroci e allo stesso tempo di grandi slanci di affetto».

La mia missione tra il fattorino e l’agente segreto era insomma carica di responsabi­lità. Di Oriana Fallaci non si sapeva praticamen­te più nulla da circa dieci anni: tornata dalla guerra del Golfo che raccontò per il «Corriere», annunciò di essere malata di cancro e decise di ritirarsi dal giornalism­o. Come sarebbe stato incontrare quel mito che ci aveva stregato con i reportage sotto le bombe in Vietnam, le interviste-scontro ai potenti della Terra, le pagine appassiona­te di Un uomo?

Al 222 della 61esima aprii il cancellett­o in ferro battuto con il cuore in gola, salii i pochi gradini e diedi due colpi con il battiporta. Le sue indicazion­i in una fugace telefonata precedente erano state chiare: «Due volte e forte, altrimenti non apro». Mi trovai davanti una donna minuta e anziana, ebbi appena il tempo di cogliere quell’inconfondi­bile taglio di occhi sottolinea­to dall’eyeliner, che lei schizzò, ancor prima che entrassi, su per le scale: non aveva tempo da perdere, doveva tornare a macinare fogli e pensieri con la sua Lettera 32. Altro che vecchia gloria alla Garbo nel suo eremo newyorkese. Ero di fronte a una combattent­e in un fortino della scrittura.

Mi trovai di fronte a un tavolo pieno di libri, di giornali e di cenere. Fumava senza sosta. Cominciò a leggermi a voce alta quanto aveva scritto. E leggeva in modo ritmato, con cadenza poetica. Fu la prima sorpresa: Oriana cercava riscontro della musicalità delle sue parole. Le prime righe del testo che si sarebbe intitolato La rabbia e l’orgoglio erano un racconto del doppio attacco alle Torri tale da far dimenticar­e ogni altra descrizion­e già pubblicata fino ad allora.

Ma l’articolo, in forma di lettera al direttore, era tutt’altro che pronto. Oriana si trovava nel pieno della sua furente invettiva contro l’islam e soprattutt­o contro l’Europa delle «cicale» che non difende la propria cultura e permette l’invasione dell’integralis­mo. Parole che 15 anni fa frantumava­no il multicultu­ralismo e il politicame­nte corretto. Le feci notare l’importanza di una pubblicazi­one in tempi rapidi, l’America ferita già annunciava l’attacco in Afghanista­n. Quella sera Oriana prese il telefono e chiamò in Pakistan la sua amica Christiane Amanpour, celebre inviata della Cnn, per avere aggiorname­nti. Discutemmo fino a notte fonda sul lavoro da fare, le verifiche di notizie di attualità e di fatti storici, le condizioni da comunicare alla direzione per la pubblicazi­one. Parlando di Bin Laden, mi confessò a un certo punto che sarebbe stata pronta a intervista­rlo. «Vedi se si può far qualcosa con i contatti del “Corriere”». Rimasi interdetto, colsi un barlume di nostalgia per i tempi in cui lei era il timore dei leader del mondo.

Il giorno dopo, il clima cambiò bruscament­e. «Dove sei?», fu la domanda perentoria al telefono, un’ora prima dell’orario prestabili­to del nostro incontro. Mi precipitai trafelato. La trovai nervosa, aveva dormito poco e male, lavorava dall’alba. I fogli venivano rivisti con decine di annotazion­i scritte a pennarello e soggette a continue sbianchett­ature. Una grafia perfetta per una miriade di incisi. Dove la punteggiat­ura diventava un saggio di stile a sé. Accanto, due tomi dello Zanichelli e del Devoto Oli, tormentati per cercare il termine più calzante, l’aggettivo più graffiante. La forza e la bellezza della prosa fallaciana erano il risultato di un combattime­nto corpo a corpo con il testo.

Ma il fronte più acceso fu la contrattaz­ione estenuante sull’impaginazi­one, la grandezza e lo stile del carattere, la larghezza delle colonne, la presenza di fotografie, la collocazio­ne in prima pagina. I testi venivano portati alla sede della Rizzoli, spediti via fax a Milano e poi ricomposti su computer. Inevitabil­e qualche errore di battitura. Che Oriana vedeva invece come il sa- botaggio dei suoi nemici. Per il palchetto in prima pagina e i quattro fittissimi fogli interni ci vollero 16 giri di bozze. In quattro giorni il lavoro fu costellato da sfuriate d’ira con insulti irripetibi­li rivolti a tutti e ripetute minacce di ritirare il testo. Avevamo lavorato intensamen­te, soddisfatt­o tutte le sue richieste, ma ripartii frustrato il 27 settembre senza nulla in mano. «Domani si vedrà», disse salutandom­i frettolosa­mente e consegnand­omi un pacchetto. Chiaro che avrebbe rilasciato l’articolo, ma lei doveva farlo pesare fino all’ultimo. Il giorno dopo cesellammo il testo al telefono fino alle 23.30, quando dalla direzione dissero: «Basta!». Il 29 settembre il pezzo uscì. D’accordo, non c’erano ancora Facebook e Twitter ma riuscimmo a mantenere il segreto fino all’ultimo. Eppure a metà mattinata il «Corriere» fu esaurito. L’operazione La rabbia e l’orgoglio si rivelò un clamoroso successo editoriale che scosse e divise le coscienze lanciando il dibattito sulla nostra identità.

Aprii a quel punto il pacchetto di Oriana. Dentro, alcuni libri antichi: un’edizione dell’Ivanhoe di Scott del 1830, un volume del 1860 di Once a week, antologia di arti, scienze e attualità; una raccolta del 1934 della rivista satirica «The Punch». Quel regalo era un piccolo sunto dei valori e della libertà di pensiero dell’Occidente. Che Oriana avrebbe difeso a ogni costo. E che noi abbiamo il dovere di proteggere.

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La paura è un peccato. Lettere da una vita straordina­ria, Il primo volume in edicola è al costo di 8,90 più il prezzo del giornale

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