Trenta idee per la riforma della Chiesa (comprese quelle di donne e laici)
CITTÀ DEL VATICANO La Chiesa è sempre bisognosa di riforme, Ecclesia semper reformanda, ma in che senso, e come? «Per me, la grande rivoluzione è andare alle radici, riconoscerle e vedere ciò che quelle radici hanno da dire al giorno d’oggi», ha detto Francesco. Una frase che potrebbe essere posta come esergo a «La riforma e le riforme nella Chiesa», a cura del padre gesuita Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, e del teologo argentino Carlos María Galli, un volume in uscita oggi (ed. Queriniana, 624 pagine, 53 euro) che raccoglie gli atti del seminario di studio riunito nella sede della rivista dei gesuiti alla vigilia dell’ultimo Sinodo, dal 28 settembre al 2 ottobre 2015. A cinquant’anni dalla chiusura del Concilio, gli interventi di trenta studiosi — ecclesiologi, storici, ecumenisti, canonisti, teologi — vanno oltre i giorni «caldi» della discussione sinodale e affrontano la questione più ampia della riforma della Chiesa. Non una riunione di esponenti della «gerarchia» ma la riflessione di uomini (compresi tre laici) e donne (tre laiche e una religiosa) di tutti i continenti. La riforma sta al cuore del pontificato di Francesco ma non riguarda anzitutto le strutture, bensì l’atteggiamento interiore. «Se non si comprende questo, introdurre strutture più partecipative e decentralizzate non sarà sufficiente», scrive l’arcivescovo Víctor Manuel Fernández, teologo vicino a Bergoglio. Il problema è superare quella forma mentis che «negli ultimi due decenni» ha collocato al centro della Chiesa «una ragione, una serie di principi che reggono tutto, non negoziabili»: «Allora sembra vi sia una ragione non negoziabile che giudica il Vangelo» e «ci controlla tutti, compreso il Papa». Si tratta di «ritornare al Vangelo». Lo stesso Francesco citava Tommaso d’Aquino: i precetti dati da Cristo «sono pochissimi». Liberata da «aggiunte» al Vangelo, la Chiesa può tornare all’essenziale: il Gesù storico» e la «struttura ecclesiale fondamentale», Pietro e gli apostoli, il Papa e i vescovi. Le «strutture di servizio» della Santa Sede, la Curia, non possono quindi avere più potere del «ministero collegiale» dei vescovi. Il teologo gesuita Juan Carlos Scannone, che fu insegnante di Bergoglio, parla di una Chiesa «povera e per i poveri» e ne richiama la kenosis, lo «svuotamento» e l’uscita da sé. E poi, spiega padre Spadaro, Francesco è un gesuita e «la sua idea di riforma corrisponde alla visione» di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù: al concilio di Trento «Ignazio era convinto che, partendo dalla “riforma della propria vita”, tenendo davanti agli occhi il modello di Cristo povero e umiliato, non si poteva non arrivare anche a una riforma delle strutture». Il mondo è il «cantiere di Dio»: riformare significa avviare processi «aperti», senza soluzioni predefinite, con la fede nel Dio che «sempre ci precede» e sapendo che «il cammino si apre camminando». Così gli studiosi, da Andrea Riccardi a Massimo Faggioli, riflettono su storia e prospettive delle riforme, il ruolo di sinodi e concili, ma consapevoli di ciò, scrive suor Mary Melone, rettore dell’Antonianum: «La Chiesa è “a disposizione” dello Spirito... È proprio della Chiesa avventurarsi coraggiosamente nell’imprevedibile, nel nuovo, in ciò che non è programmabile. Il sì alla Chiesa concreta implica il sì alla Chiesa che cambia».
Il volume Un libro curato dal padre gesuita Antonio Spadaro raccoglie gli interventi al seminario tenuto alla vigilia dell’ultimo Sinodo