LA MARCIA INDIETRO DI OBAMA SULLA STRATEGIA NUCLEARE
Sulle armi nucleari Barack Obama è solo. Nel governo americano nessuno considera ancora praticabile la sua vecchia dottrina, enunciata con un memorabile discorso a Praga, nel 2009. Quella di un mondo «de-nuclearizzato», quella di un’America pronta a rinunciare al «first strike», al primo attacco.
Sette anni dopo, sia il diffidente segretario alla Difesa, Ashton Carter, sia l’aperturista segretario di Stato John Kerry lo hanno consigliato a tornare indietro. Gli esperimenti nucleari della Corea del Nord sono solo l’ultimo passaggio di una revisione cominciata almeno cinque mesi fa. Il 31 marzo scorso il leader della Casa Bianca convocò un ambizioso vertice a Washington con una cinquantina di capi di Stato e di governo. Obiettivo: proseguire il programma di disarmo atomico mondiale sulla scia dell’ultimo accordo «Start» (Strategic arms reduction treaty), firmato nel 2010 dallo stesso Obama e dall’allora presidente russo Dmitri Medvedev.
Ma nella capitale statunitense l’interlocutore principale, Vladimir Putin, neanche si presentò. E l’incontro con il presidente cinese Xi Jinping si chiuse con una volenterosa dichiarazione che ora appare totalmente irrilevante: la Cina continua a tenere in vita la dittatura di Kim Jong-un, fornendo cibo, petrolio e tollerandone l’aggressività atomica. Nel frattempo Putin ha mantenuto alta la tensione, contrapponendosi sistematicamente a Obama su tutti gli scacchieri mondiali, Siria a parte. L’attivismo russo ha inevitabilmente acuito le ansie degli alleati americani, dai Paesi baltici al Giappone alla Corea del Sud.
Così Obama ha di fatto rinunciato a una delle sue politiche più innovative. E sta tornando all’antico: se necessario gli Stati Uniti saranno pronti a usare per primi l’atomica.