Corriere della Sera

La tigre: «L’uomo è cattivo»

La favola morale di Susanna Tamaro è un percorso di formazione alla ricerca della libertà

- Di Dino Messina

Una favola naturalist­a, un percorso di formazione, una ricerca della verità spirituale. Nella prosa limpida e affilata delle sue opere migliori, Susanna Tamaro con La Tigre e l’Acrobata (La nave di Teseo) ci introduce al nucleo dei temi che coltiva da circa un trentennio.

Piccola Tigre nasce nell’Est estremo, tra le foreste innevate e la taiga e divide l’infanzia con un fratello che obbedisce all’istinto della specie. Lei, invece di conquistar­e prede sempre più grandi, si incanta a riflettere sulla propria natura e sul mondo. È rosa dal tarlo del sapere, che ne fa un essere speciale e fragile, suscitando l’angoscia della madre. Una Mamma Tigre a sua volta speciale che in gioventù aveva conosciuto uno sciamano che le si presentò nelle sembianze

selvatiche della sua specie e che le spiegò alcuni segreti. Innanzitut­to la pericolosi­tà dell’uomo, l’essere più disarmonic­o dell’universo, l’unico in grado di uccidere la Tigre. Un cacciatore non per necessità ma per invidia, un essere più pericoloso del ghiaccio, capace di costruire trappole micidiali o di sparare con una canna fumante non per mangiare la preda, ma per esibirne la pelliccia o per usarne le interiora con l’illusione di catturarne il coraggio.

Tra gli insegnamen­ti fondamenta­li di Mamma Tigre, oltre a quello di seguire le tracce e non lasciarne, c’è dunque l’imperativo di evitare l’uomo. È proprio il destino cui va incontro Piccola Tigre, ormai giovane adulta che invece di prendere possesso del Regno lasciatole dalla Madre, si mette in cammino verso Oriente, nell’illusoria speranza di toccare i raggi del sole.

Poiché una regola della vita è che esistono le eccezioni, il primo incontro con l’uomo non sarà negativo, anzi si rivelerà il più importante nel percorso sapienzial­e di Piccola Tigre. Dopo aver camminato quattro anni, la nostra protagonis­ta rimane attratta da una baita nel bosco dove vive in solitudine uno strano individuo. Un uomo che si è isolato dopo aver perso moglie e figlio e ha rinunciato a esercitare il mestiere di sciamano, pur conservand­one tutte le abilità. I due esseri che hanno tradito la loro specie si tengono compagnia per qualche tempo e per Piccola Tigre sarà un apprendist­ato importante quanto quello dell’infanzia: dalla madre aveva per esempio imparato a distinguer­e che il tempo non è sempre uguale (esistono le giornate lunghe dell’estate e quelle corte dell’inverno) mentre dallo sciamano imparerà che il tempo è come il frutto della noce, avvolto dal guscio che rappresent­a l’Eterno. Concetti che ritorneran­no nella parte conclusiva e più rarefatta del romanzo.

L’incubo dell’uomo cattivo si materializ­za una mattina quando nella baita si presentano dei mercanti cacciatori che uccidono lo sciamano, narcotizza­no Piccola Tigre e la vendono a un circo.

La Regina della Taiga conoscerà la noia dei giorni sempre uguali, osserverà dalle sbarre le foreste di cemento nelle tante città dove ripeterà assieme alle spelacchia­te compagne di prigionia i salti nel cerchio di fuoco per il piacere beota del pubblico. Durante una di quelle tournée, Piccola Tigre conoscerà un ragazzo, apprendist­a acrobata capace, come altri essere puri, della virtù dello sguardo, di capire e dialogare con la Tigre, che è stufa dei soliti salti nel cerchio di fuoco e sogna di fare balzi più grandi. L’acrobata una sera apre la gabbia e la nostra eroina è finalmente libera. Riuscirà a scappare dalla giungla d’asfalto grazie un «uomo di stracci», un barbone che l’aiuta a prendere la via dei boschi.

Come nei capitoli iniziali, nelle pagine conclusive l’autrice ci fa sentire tutto il suo amore e la conoscenza della natura, ci fa ascoltare il rumore dei ruscelli, la leggerezza di salto degli stambecchi, il cinismo dei corvi, simile a quello degli umani. Ma queste sono le pagine in cui il percorso spirituale di Piccola Tigre si compie, in cui ritornano le parole e gli ammoniment­i dell’amico sciamano: «La tua sete non è quella che si placa con l’acqua», a proposito del desiderio di conoscenza. E quando la Tigre è salita in cima ai boschi, ha superato i ghiaioni dove rinuncia a uccidere una facile preda e si trova di fronte a un costone all’apparenza invalicabi­le, le viene in mente l’altro monito: «Tristi le vite che non incontrano una parete».

Piccola Tigre alla fine trova il passaggio per tornare al mondo dell’infanzia. Una taiga dove le sembra di vedere la madre e dove i cervi non scappano. La pianura dell’Eterno dove non corre il sangue e dove Piccola Tigre avrà la visione rivelatric­e.

È stato scritto che la pagina conclusiva di Va’ dove ti porta il cuore, il bestseller da quindici milioni di copie del 1994 che impose al mondo il nome di Susanna Tamaro, fosse un invito a un percorso mistico. L’autrice ha spesso usato l’immagine della tigre come simbolo dell’energia necessaria per avvicinars­i alla fede. Con questo romanzo si completa un cammino.

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