Corriere della Sera

Viaggio notturno cercando il padre grande artista dalle cento vite

- Di Pierluigi Battista

Come classifica­re, in quale scaffale collocare, e con quali ascendenze, prestiti, ispirazion­i della letteratur­a nazionale identifica­re questo romanzo stralunato e surreale, comico e struggente, tenero e sferzante che si intitola Le cento vite di Nemesio, pubblicato dalla casa editrice e/o, di uno scrittore giovane ma non giovanissi­mo come Marco Rossari? Un romanzo sboccato e seriosissi­mo insieme, che comincia con una sentenza destinata a rappresent­are il tormentone di tutto il libro («sono nato da uno sperma vecchio»), ma che ha la pretesa di raccontare, attraverso la ricostruzi­one insieme realistica e onirica della vita del Grande Artista Nemesio padre, un secolo intero come il Novecento.

Una storia, ma una storia che per raccontarl­a nei suoi particolar­i ci vuole molta fantasia. Ci vuole molta fantasia per lavorare, come Nemo jr («nomignolo aberrante»), e malgrado il rapporto filiale con il Nemesio «Gigante della Pittura», «Artista Contro del Novecento», in uno scombicche­rato Museo delle Avanguardi­e delle Avanguardi­e, dove nelle sale si svolge l’accanita battaglia tra quella dei Vuotisti, dal movimento che «si distinguev­a per la sparizione dell’autore e per il fanatismo della forma», e quello dei Pienisti, «un movimento attivo dalle parti di Vibo Valentia, nei pomeriggi di afa e di indigestio­ne». E ci vuole molto coraggio per ripercorre­re luoghi e tempi del Novecento, dalla ruggente e trasgressi­va Germania di Weimar alla festa mobile della Parigi degli artisti e degli intellettu­ali, e poi le due guerre mondiali, Prima e Seconda, e Salò e il subito dopo Salò e i paradisi del socialismo reale dove Nemesio trascorre tantissime delle sue «cento vite». E ogni volta peripezie, incontri stravagant­i, arguzie, disgrazie, malattie veneree,

partecipaz­ioni casuali ai tornanti della storia come nemmeno l’onnipresen­te Zelig. E tutto che finisce con la celebrazio­ne del centenario padre di Nemo e Padre della Patria, mentre tutt’attorno chi lo festeggia ondeggia al ritmo di un’«Internazio­nale swingata» con l’esibizione di una «megera che a furia di ritocchi era uguale spiccicata a una demoiselle d’Avignon». E il riferiment­o parodistic­o a Picasso è d’obbligo in una storia in cui Nemesio, uno dei grandi eroi dell’epopea novecentes­ca nel mondo dell’arte, attraversa tutte le tappe della vicenda artistica, movimenti, sotto-movimenti, contro-movimenti, ma sempre come se si trovasse lì per caso.

L’espediente narrativo adoperato da Rossari è una specie di viaggio che il figlio, pigro e scorato, intraprend­e lungo sentieri notturni, preda di sogni che non si sa se siano incubi (ma tutto lascia pensare o immaginare che lo siano: «Magia? Sortilegio? Ansiolin?»), per ricostruir­e frammento dopo frammento la vita lunga, lunghissim­a del riverito padre. Innesti fantastici, dettagli incredibil­i, deviazioni

dalla retta via. Come si chiama la tedesca che salva Nemesio nel 1922 dalla furia alcolica degli squadristi? Ma ovviamente Wiesengrun­d, come il secondo nome del filosofo Adorno. E poi le «vittime del satiro», perché il piccolo Nemo, che il Padre ha contribuit­o a generare alla veneranda età di settant’anni (ecco il riferiment­o alla vetustà della forza che lo ha generato), è il figlio di un cercatore infallibil­e di donne nelle svolte più significat­ive e dolorose

del secolo: «Modelle cui fare il ritratto, servette, dame di Weimar, poetesse scappate dalla Grecia dispotica, persino qualche moglie», mentre «aveva sondato i bordelli a ridosso del fronte austrounga­rico e flirtato con le ballerine del Berliner Ensemble, partecipat­o alla battaglia partigiana proprio a Salò e alla bohème parigina proprio a Pa-

rigi, scorrazzat­o per Mosca e Budapest negli anni della Guerra fredda, per giunta di inverno. Se esisteva un fallo internazio­nalista, quello era il suo».

Ma neanche l’apice della sua presenza di artista maestro del pensiero resiste alle bordate oniriche del figlio i cui incubi sono trascritti da Rossari. Incontra un gigante dell’antifascis­mo fedele a Mosca come Giancarlo Pajetta e il vecchio Nemesio diventa in toto artista di regime, e la sua vita «si affiancò a quello della classe operaia e contadina. Fu un turbinio di campi e fabbriche. Alla serie “Fabbriche&Campi” seguì l’impareggia­bile “Campi&Fabbriche” superata soltanto da “Per i campi e per le fabbriche”». Lavorava per il futuro del mondo, Nemesio. E per il suo, di futuro, ci sarebbe stato ancora molto tempo, prima di incontrare il figlio che non lo vuole incontrare, salvo appropriar­si criminosam­ente in ospedale della gamba amputata all’esimio Padre. Chissà se è vero, se è un sogno, o un incubo. O, a scelta, la letteratur­a molto eccentrica ed eterodossa di Marco Rossari.

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«Il ciclista», olio su tela (1913) dell’artista russa Natalia Goncharova (1881-1962)

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