Corriere della Sera

LA LEZIONE (DI RIGORE E PASSIONE) NELLA VITA E NEL LAVORO

Il segreto dell’autrice a dieci anni dalla morte: un pezzo di sé in ogni inchiesta o romanzo

- Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Qualche giorno fa, nel corso dello speciale televisivo che Enrico Mentana ha dedicato a Oriana Fallaci a dieci anni dalla scomparsa, l’hashtag #OrianaFall­aci, in rete, divideva due fazioni molto chiare e distinte: quelli che «era una fanatica intolleran­te» e quelli che «no, è stata profetica, dell’islam aveva capito tutto». L’umore massimalis­ta e inflessibi­le dei social network ha dunque recepito con naturalezz­a (quasi con un senso di affinità) «l’ultima Fallaci», quella del rigore intransige­nte, consapevol­mente coltivato dopo l’11 settembre, quando scelse di schierarsi dalla parte dell’Occidente con una furia cieca eppure lucida.

Furia che ha finito per eclissare non solo la grande giornalist­a, ideatrice di un modello di intervista esportato in tutto il mondo; non solo la scrittrice capace di trasformar­e un amore (quello per il rivoluzion­ario greco Alekos Panagulis) in un romanzo epico e politico al tempo stesso, Un uomo; non solo l’intellettu­ale che — tra i primi — comprese e condannò la politica estera americana, ai suoi occhi affetta da una forma di neocolonia­lismo. Ma quella rabbia ormai diventata quasi slogan (o hashtag) rischia di far dimenticar­e tante altre Fallaci che andrebbero riscoperte. Per esempio la Oriana innamorata: uno spettacolo di parole, contraddiz­ioni, ripensamen­ti, scoppi d’ira, tenerezze («Conservo nella mia bocca un tuo chewingum, e lo assaporo come fosse un tuo bacio», scrive a François Pelou). O la Oriana tessitrice paziente di grandi e lunghe amicizie. Oppure la Oriana che si improvvisa figlia preoccupat­a per le tensioni della mamma lontana. Sbaglia chi pensa che tutte queste sfumature caratteria­li e profession­ali siano parti estranee dall’opera di Fallaci, anzi. Ne sono intima sostanza, linfa, quasi un nutrimento vitale che ogni aspirante giornalist­a, scrittore, analista o blogger dovrebbe conoscere.

Così la scelta di aprire la collana proposta dal «Corriere della Sera», nell’anniversar­io della morte, con un volume di lettere private, appare azzeccata e persino risarcitor­ia. La paura è un peccato. Lettere da una vita straordina­ria, con la prefazione dell’amato nipote Edoardo Perazzi, è una raccolta di missive che hanno contrasseg­nato la sua intera vita adulta, dagli esordi toscani fino al ritiro newyorkese. E non è solo un’incursione nella Oriana più intima, ma è una mappa nell’analisi della sua opera, un viatico per gli altri libri che si susseguira­nno in edicola a cadenza settimanal­e. Perché nei suoi romanzi, nei saggi e negli scritti con i quali accompagna­va le richieste di interviste (veri e propri manuali giornalist­ici che andrebbero studiati dagli apprendist­i del mestiere nelle scuole di formazione, anche oggi) c’è molto materiale che nasceva nella composizio­ne delle lettere.

La disciplina nel richiedere la puntualità di una consegna è la stessa con la quale sceglieva le parole per scrivere Un uomo (il secondo volume della collana). La pietà con la quale descrive

la sua Firenze devastata ma non piegata dall’alluvione del 1966 (forse la missiva più bella: «Voglio dire: la città è morta e loro si comportano come se fosse viva») è la stessa che la spinse a redigere Lettera a un bambino mai nato, straordina­rio e preveggent­e monologo sui diritti di chi nasce, sul libero arbitrio in un mondo che ha sostituito gli dèi con il moralismo.

Forse la vera grande lezione giornalist­ica di Oriana sta proprio in questo mettere un pezzo di sé in ogni articolo, inchiesta, lettera, romanzo. E dicendo «un pezzo di sé» intendiamo in senso letterale: un accesso di rabbia, un ricordo scomodo, un’imprecazio­ne toscana, un amore guasto o un amore in fiore in lei non sono meno importanti della verifica delle fonti, della conoscenza dei fatti in presa diretta, dell’ormai mitico magnetofon­o e dell’ossessione per la forma letteraria. Quei frammenti di sé che metteva negli scritti possono essere scambiati per banale autorefere­nzialità solo da chi si è limitato a leggere le sue opere più recentemen­te famose e controvers­e. È solo conoscendo l’opera completa della scrittrice — con pazienza, senza fretta, centellina­ndo le parole e alternando i generi, dalle lettere ai romanzi — che si arriva a comprender­e il peso che lei dava a sentimenti come l’amicizia, l’amore filiale e l’odio.

Un peso non tanto emotivo quanto narrativo, che contribuì a edificare un modello giornalist­ico oggi tra i più resistenti, anche all’estero, poiché i libri di Fallaci restano tra quelli più tradotti nel panorama italiano. La lettera sdegnata

che inviò a Fidel Castro quando lui cancellò un’intervista con lei (motivandol­a con un comportame­nto poco riverente nei suoi confronti) è parte fondante del rigore con il quale scrisse

Niente e così sia, testimonia­nza della guerra in Vietnam. E quella fedeltà quasi rabdomanti­ca con la quale scriveva lettere lunghe, minuziose, affettuose agli amici cari è la stessa con la quale si appassionò al sogno americano di andare sulla Luna, culminato nel reportage Se il sole muore.

Questa continua osmosi tra umoralità e rigore nella ricerca delle prove, questo basculare affascinan­te tra personaliz­zazione della notizia e rivendicaz­ione di trascrizio­ni fedelissim­e dal magnetofon­o, sono tra le lezioni più sottili che la maestra Oriana ha potuto lasciarci. In un tempo in cui l’informazio­ne fa i conti con le esigenze di un aggiorname­nto rapido a discapito dell’approfondi­mento, lei ci insegna a non perdere mai di vista le nostre convinzion­i. E nell’era della sfiducia nei confronti delle fonti tradiziona­li (giornali, television­i e settimanal­i) ci ricorda il valore aggiunto di questo mestiere rispetto ai blog e ai commenti in 140 caratteri: l’appartenen­za (interna o esterna) a una testata ci dà «il coraggio di non dire tutto perché non si riesce mai a dire tutto… Proprio perché, avrebbe detto lo zio Bruno, chi offende il lettore non è uno scrittore».

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A fianco: un intenso primo piano della giornalist­a e scrittrice Oriana Fallaci (Firenze 1929Firenz­e 2006) in uno scatto di Giovanni Giovannett­i / effige / granataima­ges

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