Corriere della Sera

Al di là dei grattaciel­i c’è un’anima agreste

- Di Francesca Bonazzoli

Afar parlare di Milano oggi sono soprattutt­o i suoi grattaciel­i firmati dalle archistar. Belli (alcuni hanno vinto anche prestigios­i premi) e rappresent­ativi di quella che già i futuristi avevano ribattezza­to «la città che sale». Sono simboli di modernità, dinamismo, sfida alla conservazi­one. E tuttavia a Milano resiste anche la sua anima più antica, quella agreste, ritratta dai pittori in scorci indimentic­abili come nella tavola della Madonna del Latte del Bergognone dove sullo sfondo di Maria che allatta il piccolo Gesù, compare un angolo della Bassa, una borgata di Lombardia con l’arco d’ingresso, il cortile, le case basse, le galline nell’aia, i pioppi e il campanile che richiama i contadini dai campi. Quelle cascine in gran parte abbandonat­e negli ultimi 60 anni, ora stanno provando a resistere: alcune, nel Parco agricolo Sud o a Muggiano, dove coltivano il mais antico e pregiato per la polenta, continuano ad ospitare mucche, orti, fienili; altre, come le cascine Moncucco o Torrette, sono state trasformat­e in nuovi luoghi di aggregazio­ne di residenza universita­ria o di centro culturale. Il sistema delle rogge e dei canali implementa­to dai Visconti e poi dagli Sforza è ancora vitale per le coltivazio­ni e persino la vigna che Ludovico il Moro donò a Leonardo da Vinci è stata ripiantata lo scorso anno in pieno centro. Milano, città prima capitale dell’industria e adesso del terziario, è la stessa che ha pensato di dedicare un’Expo al tema del cibo e alla coltivazio­ne della terra. Senso di colpa? Sentimenta­lismo nostalgico? Può darsi, eppure a Milano, anche su balconi e terrazze, non ci si accontenta di piante decorative, ma ci si ostina a coltivare ulivi, limoni o betulle.

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