Al di là dei grattacieli c’è un’anima agreste
Afar parlare di Milano oggi sono soprattutto i suoi grattacieli firmati dalle archistar. Belli (alcuni hanno vinto anche prestigiosi premi) e rappresentativi di quella che già i futuristi avevano ribattezzato «la città che sale». Sono simboli di modernità, dinamismo, sfida alla conservazione. E tuttavia a Milano resiste anche la sua anima più antica, quella agreste, ritratta dai pittori in scorci indimenticabili come nella tavola della Madonna del Latte del Bergognone dove sullo sfondo di Maria che allatta il piccolo Gesù, compare un angolo della Bassa, una borgata di Lombardia con l’arco d’ingresso, il cortile, le case basse, le galline nell’aia, i pioppi e il campanile che richiama i contadini dai campi. Quelle cascine in gran parte abbandonate negli ultimi 60 anni, ora stanno provando a resistere: alcune, nel Parco agricolo Sud o a Muggiano, dove coltivano il mais antico e pregiato per la polenta, continuano ad ospitare mucche, orti, fienili; altre, come le cascine Moncucco o Torrette, sono state trasformate in nuovi luoghi di aggregazione di residenza universitaria o di centro culturale. Il sistema delle rogge e dei canali implementato dai Visconti e poi dagli Sforza è ancora vitale per le coltivazioni e persino la vigna che Ludovico il Moro donò a Leonardo da Vinci è stata ripiantata lo scorso anno in pieno centro. Milano, città prima capitale dell’industria e adesso del terziario, è la stessa che ha pensato di dedicare un’Expo al tema del cibo e alla coltivazione della terra. Senso di colpa? Sentimentalismo nostalgico? Può darsi, eppure a Milano, anche su balconi e terrazze, non ci si accontenta di piante decorative, ma ci si ostina a coltivare ulivi, limoni o betulle.