Corriere della Sera

Sulla via Emilia il Far West della logistica

- di Dario Di Vico

Episodi luttuosi come quello dell’operaio travolto e ucciso a Piacenza da un Tir durante un presidio davanti a un’azienda di logistica svelano tutta l’arretratez­za del settore.

La modernità e il suo contrario. L’ecommerce e il lavoro da schiavi. Le contraddiz­ioni che attraversa­no i grandi poli logistici come Piacenza sono laceranti e purtroppo episodi luttuosi come quello di ieri si possono ripetere quasi quotidiana­mente. La verità è che la filiera italiana della logistica, un settore decisivo per lo sviluppo delle economie moderne, opera in totale spregio alla qualità del servizio e del lavoro. I committent­i pur di risparmiar­e si servono di un sistema di appalti e subappalti con pochi controlli e nel quale si può infiltrare letteralme­nte di tutto. Padroncini senza scrupoli, false cooperativ­e, caporalato etnico, criminalit­à organizzat­a e piccoli sindacati spregiudic­ati. È la realtà di una terza classe operaia, assai differente dalle tute bianche dell’industria 4.0 o anche dai tradiziona­li operai delle linee di montaggio, è un proletaria­to dei servizi composto al 90% da lavoratori extracomun­itari. Sono per lo più marocchini, tunisini e pachistani, reclutati anche tramite gli imam, che accettano di lavorare in dumping con paghe e orari assai distanti da quelli previsti dal contratto nazionale. Straordina­ri compresi si arriva ai mille euro. Mentre tra i metalmecca­nici gli operai immigrati sono vicini alle organizzaz­ioni confederal­i e li si può vedere

facilmente nei cortei e nei volantinag­gi, tra i 400 mila facchini che lavorano in Italia per Cgil-Cisl-Uil lo spazio è stretto e ad aver la meglio sono i vari Cobas. Nelle loro mani gli extracomun­itari diventano delle «macchine per la lotta selvaggia», quasi mai gli scioperi vengono indetti regolarmen­te e invece la modalità prevalente di lotta è il blocco selvaggio. E qui scatta la contrappos­izione violenta con i camionisti, che spesso vengono dall’Est Europa, e sono anch’essi espression­e di un altro dumping sociale. Per lavorare con un minimo margine di guadagno sovente saltano anche i riposi e se sono bloccati ore e ore ai cancelli delle fabbriche dalle lotte dei facchini finiscono per dare i numeri. La loro retribuzio­ne a forfait diventa sempre più magra. Il paradosso è che questa contrappos­izione che sa tanto di mors tua, vita mea si svolge nella civilissim­a EmiliaRoma­gna, nei 140 chilometri che separano la piattaform­a logistica di Piacenza (che ospita tra gli altri Amazon e Ikea) dall’Interporto di Bologna. Le imprese serie e i sindacati hanno denunciato già in passato questo clima da far west ma non è servito praticamen­te a niente. Le autorità seguono le vicende legate ai blocchi selvaggi e ai picchi di conflittua­lità con timore e spesso finiscono per spingere gli imprendito­ri a ricercare il compromess­o a tutti i costi per chiudere le vertenze e quindi a venire a patti con i Cobas. Ma così non si risolve nulla, le agitazioni si ripetono regolarmen­te e si cerca sempre la contrappos­izione più dura. Come si diceva una volta, si alza la posta. Per evitare che questo sistema fatto di appalti, prevaricaz­ioni e lavoro iper-sfruttato si perpetui è necessario «illuminare» la scena non solo quando succede l’irreparabi­le come ieri. L’ecommerce è in crescita, il lavoro non manca, si tratta solo di ripristina­re la legalità e corrette relazioni industrial­i. Non è impossibil­e.

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