Gli industriali prevedono che la crescita sarà più bassa
Riviste al ribasso a +0,7 e +0,5%. Padoan: le nostre previsioni saranno migliori. Boccia: un patto per la crescita
Lo scenario globale peggiora e con esso le stime di crescita del prodotto interno lordo italiano (Pil). Le cifre indicate dal centro studi Confindustria riassumono gli effetti delle tensioni geopolitiche, di fattori fonte di insicurezza, come la Brexit, e della stagnazione secolare, illustrando un andamento dell’economia italiana che «presenta una debolezza superiore all’atteso». Tanto che Confindustria rivede al ribasso le previsioni di crescita inchiodando il Pil per il 2016 allo 0,7% (era allo 0,8%) e stimando per l’anno prossimo un aumento dello 0,5% (era allo 0,6%). Un valore sensibilmente distante dall’1,4% indicato dal governo nel Def (Documento di economia e finanza) nell’aprile scorso.
Numeri accompagnati dalla considerazione che «la crescita per il 2017, sebbene già del tutto insoddisfacente, non è scontata e va conquistata». La diagnosi del centro studi di Viale dell’Astronomia muove dal divario di crescita tra l’Italia e il resto dei Paesi europei. La grande recessione, che ha colpito l’economia del Vecchio Continente, non è stata uguale per tutti e il distacco italiano rispetto ad altri partner europei restituisce l’idea dell’accaduto. Negli ultimi quindici anni la Spagna ha registrato una crescita del Pil del 23,5% (il Fondo monetario, tra l’altro, si accinge a rivedere al rialzo le previsioni per il 2017), la Francia del 18,5% e la Germania del 18,2%. In Italia nello stesso periodo, tra il 2000 e il 2015, la ricchezza prodotta è diminuita dello 0,5%. Confindustria parla di un quindicennio perduto e affidandosi ai numeri spiega che agli attuali ritmi di crescita, per ritornare ai livelli del 2007, occorrerà attendere fino al 2028.
La crisi ha colpito duro innescando «un abbassamento del potenziale di crescita italiano» e una flessione dell’utilizzo della capacità produttiva. La ricetta degli industriali passa per l’urgenza di aumentare il tasso di crescita dell’economia, lavorando su due fronti. La rimozione, da un lato, di ostacoli come la difficoltà di accesso al credito, lo stallo dell’edilizia e la bassa competitività. L’altro versante su cui intervenire riguarda sia la produttività sia il declino della popolazione in età da lavoro. La sfida di Confindustria è affidata alle parole del presidente Vincenzo Boccia. «La crescita — spiega il leader degli industriali — non è solo una questione politica ma deve essere un indirizzo collettivo e comune del Paese: la legge di Stabilità è un punto di partenza, dobbiamo lavorare per un patto di crescita e stabilità in chiave italiana. Non dico un ritorno alla concertazione ma possiamo essere gli attori di una grande intesa per il Paese». L’appello si colloca nel solco del dialogo con un governo a cui Confindustria riconosce gli effetti di alcune riforme.
A cominciare dal Jobs act, che ha creato 426 mila nuovi posti di lavoro (nell’80% dei casi si tratta di contratti a tempo indeterminato). Resta che alle attuali condizioni di crescita il Centro studi paventa per il 2017 il rischio, in assenza di flessibilità aggiuntiva, di una manovra correttiva sui saldi di 16,6 miliardi di euro. Una previsione che non sembra intaccare le convinzioni del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Il titolare di Via XX Settembre si tiene alla larga dall’indicare stime sulla crescita, rimandando alla nota di aggiornamento al Def che dovrà essere approvata entro il 27 settembre. Padoan aggiunge, però, che i numeri del governo sono «migliori» di quelli di Confindustria, ribadendo che il governo è impegnato su riforme i cui effetti si vedranno nel medio termine.
L’immagine utilizzata dal ministro è quella di una molla in fase di carico, che, quando scatterà garantirà maggiore crescita. Nella diatriba sui decimali di crescita entra anche il premier Matteo Renzi che indica che l’economia «va un po’ meglio di prima» ma non ancora «bene come vorremmo». Il presidente del Consiglio conferma «siamo intorno al +1%», e ricorda, tra l’altro, il recupero record nel 2015 sul fronte dell’evasione pari a 14,9 miliardi.
A segnare un nuovo primato intanto è anche il debito pubblico. Bankitalia nel bollettino statistico riporta che a luglio il debito delle amministrazioni pubbliche ha raggiunto quota 2.252,2 miliardi di euro, in aumento di 3,4 miliardi rispetto a giugno. Nei primi sette mesi del 2016 il documento segnala che il debito è aumentato di 80,5 miliardi di euro.