QUEL DIRITTO ALL’OBLIO E GLI SCIACALLI DIGITALI
Quanti giorni ancora dureranno, prima di affondare nel silenzio, lo stupore, l’indignazione e la pietà, quasi ostentati in questi giorni da opinionisti, giuristi e (per la verità non molti) politici, per la drammatica e definitiva scelta di Tiziana?
E saranno più longevi gli sciacalli che ancora oggi, sulle spoglie della loro vittima, imbastiscono macabri scherzi, pur di esserci ancora e poter prolungare una notorietà che fa ribrezzo?
Domani è un altro giorno, saranno certamente diffusi nuovi video virali e ci saranno altre vittime più o meno consapevoli: spesso, infatti, è chi subisce la gogna ad averla generata, affidando alla Rete, con incredibile leggerezza, immagini che non sarà più possibile eliminare dalla realtà virtuale perché, come ha detto con disarmante sincerità il Garante, che pure dovrebbe assicurarla, la tutela di una persona che finisce sul web è praticamente impossibile, per mancanza di strumenti efficaci.
Questo, mentre viene rimossa, con un semplice clic, la foto della «Napalm girl», la bambina vietnamita che corre nuda e piangente, dopo esser stata investita dal napalm, pedopornografica per l’algoritmo — peggio fosse stato un uomo in carne ed ossa! — di Facebook, premiata con il Pulitzer per la sua evidente forza dirompente e ripristinata solo dopo forti ed autorevoli proteste.
E mentre, con la stessa agile semplicità, grazie anche a sentenze poco lungimiranti o utilizzate a sproposito, un terrorista conclamato può chiedere ed ottenere, se nessuno se ne accorge, da siti e motori di ricerca la rimozione di tutte le notizie che lo riguardano; un imputato, ancora sotto processo, può esigere la eliminazione degli articoli che si sono occupati di lui; un politico può pretendere che si cancelli il suo passato criminale, così di fatto azzerando la memoria un po’ per volta.
Figli e figliastri, dunque, certo a causa delle diverse modalità di circolazione di informazioni e dati che la Rete offre, ma anche per un certo disinteresse di fondo, specie se la vittima non è famosa — a chi interessa davvero, fino a che è viva, una oscura ragazza di provincia in preda al panico ed all’umiliazione? — unito ad un senso di impotenza, capace di smorzare anche gli slanci investigativi più ostinati, a causa della inadeguatezza degli strumenti approntati, compreso quello penale.
In realtà, l’immissione in Rete di dati personali, specie se sensibili — e quelli sessuali ovviamente lo sono — senza consenso, è condotta illecita che può essere perseguita e bloccata subito, ma solo entro i confini nazionali, salvo improbabili ed inutili rogatorie all’estero.
E non è certo il diritto all’oblio, di cui molto e non sempre a proposito si parla, la panacea di tutti i mali.
Non codificato in Italia e riconosciuto a livello europeo, dal nuovo regolamento comunitario sulla protezione dei dati (Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016) garantisce al protagonista di passate vicende non encomiabili il diritto di essere dimenticato, quando la funzione informativa si è esaurita, anche mediante la rimozione di tutte le notizie che lo riguardano, se oramai prive di interesse pubblico.
Non era l’oblio, dunque, che cercava Tiziana, ma voleva sparire dalla Rete, del tutto e per sempre e dimenticare quelle immagini che l’avevano esposta al pubblico ludibrio: non ce l’ha fatta.
Ci sarà una prossima volta e torneremo ancora ed inutilmente a stracciarci le vesti, ad immaginare improbabili leggi e forme di educazione massiva di coloro che, nativi digitali, vivono in Rete, ci si trovano benissimo, al punto da considerare i ventilati interventi normativi un attentato alla libertà ai tempi di Internet e l’oblio un concetto estraneo e persino eretico, sempre che non li riguardi personalmente.
Circolo vizioso Spesso è chi subisce la gogna ad averla generata affidando alla Rete sue immagini