Corriere della Sera

NORIMBERGA GIAPPONESE LA SORTE DELL’IMPERATORE

- Alessandro Pipino Alexapipin­o@hootmail.it Caro Pipino,

I responsabi­li della Seconda guerra mondiale, Hitler e i suoi generali, Mussolini e i suoi gerarchi, hanno pagato con la vita le conseguenz­e dei loro errori e dei loro delitti. Chi non ha pagato le conseguenz­e dei propri errori e delle proprie infamie, a mio parere, è stato l’imperatore del Giappone Hirohito e i suoi generali. L’attacco aereo alla flotta Usa a Pearl Harbor è stato un’infamia, a cui si aggiungono le numerose efferate atrocità dell’esercito giapponese in Cina, in Manciuria e in altre zone orientali conquistat­e. Al termine del conflitto, non vi è stato un processo di Norimberga per i criminali di guerra giapponesi. A che cosa e a quali fini storico-politici si deve la ingiustifi­cata clemenza delle potenze vincitrici nei confronti dell’imperatore Hirohito e delle alte gerarchie militari giapponesi, che non hanno pagato il prezzo dei loro misfatti?

Iprocessi ebbero luogo a Tokyo fra il maggio 1946 e il novembre 1948. I giudici furono undici, scelti dal generale MacArthur fra i magistrati di tutti i Paesi che avevano controfirm­ato l’atto di resa del Giappone nel 1945. Gli imputati furono 25 uomini di Stato e militari, i condannati all’impiccagio­ne 7, fra cui il comandante delle forze giapponesi nel Pacifico e un ex primo ministro. Un imputato si suicidò, un altro morì di morte naturale prima della esecuzione della sentenza. Vi furono anche processi e esecuzioni sommarie nei Paesi occupati durante la guerra dall’Impero del Sol Levante. E vi fu infine una massiccia epurazione nell’ambito della funzione pubblica. Nella sua Storia del Giappone e dei giapponesi, Edwin O. Reischauer, ambasciato­re degli Stati Uniti a Tokyo dal 1961 al 1966, ha scritto che le persone epurate furono complessiv­amente 200.000 e che la categoria maggiormen­te colpita fu quella degli insegnanti.

L’Imperatore non fu processato perché Mac Arthur, a cui fu affidato il compito di governare il Giappone sino alla fine della transizion­e, sapeva che il sovrano era, agli occhi dei giapponesi, una sorta di semidio. Avevano accettato i processi e le purghe perché erano consapevol­i dei misfatti di cui la casta dei politici e dei militari si era macchiata prima della guerra e durante il conflitto. Ma un processo all’imperatore sarebbe stato percepito come un intollerab­ile insulto alla identità spirituale del Paese e avrebbe creato un clima di pericolosa instabilit­à. Questa scelta politica ebbe il grande merito di facilitare la transizion­e. Grazie a Mac Arthur, fu più facile fare accettare dai giapponesi una costituzio­ne democratic­a in cui l’imperatore perdeva la sua natura semi-divina e diventava «simbolo dello Stato e della unità della nazione». Lo stesso Hirohito aveva facilitato l’operazione con un messaggio al suo popolo il 1° gennaio 1946 in cui aveva dichiarato di rinunciare alla sua ascendenza divina.

Ma la percezione popolare resta, sia pure confusamen­te, quella del passato. Quando Akihito, imperatore dal 12 novembre 1990, ha annunciato al Paese, nello scorso luglio, il suo desiderio di abdicare, il messaggio ha creato nel Paese sorpresa e sconcerto. Toccherà al parlamento di Tokyo decidere se un semidio abbia il diritto di andare a riposo.

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