NORIMBERGA GIAPPONESE LA SORTE DELL’IMPERATORE
I responsabili della Seconda guerra mondiale, Hitler e i suoi generali, Mussolini e i suoi gerarchi, hanno pagato con la vita le conseguenze dei loro errori e dei loro delitti. Chi non ha pagato le conseguenze dei propri errori e delle proprie infamie, a mio parere, è stato l’imperatore del Giappone Hirohito e i suoi generali. L’attacco aereo alla flotta Usa a Pearl Harbor è stato un’infamia, a cui si aggiungono le numerose efferate atrocità dell’esercito giapponese in Cina, in Manciuria e in altre zone orientali conquistate. Al termine del conflitto, non vi è stato un processo di Norimberga per i criminali di guerra giapponesi. A che cosa e a quali fini storico-politici si deve la ingiustificata clemenza delle potenze vincitrici nei confronti dell’imperatore Hirohito e delle alte gerarchie militari giapponesi, che non hanno pagato il prezzo dei loro misfatti?
Iprocessi ebbero luogo a Tokyo fra il maggio 1946 e il novembre 1948. I giudici furono undici, scelti dal generale MacArthur fra i magistrati di tutti i Paesi che avevano controfirmato l’atto di resa del Giappone nel 1945. Gli imputati furono 25 uomini di Stato e militari, i condannati all’impiccagione 7, fra cui il comandante delle forze giapponesi nel Pacifico e un ex primo ministro. Un imputato si suicidò, un altro morì di morte naturale prima della esecuzione della sentenza. Vi furono anche processi e esecuzioni sommarie nei Paesi occupati durante la guerra dall’Impero del Sol Levante. E vi fu infine una massiccia epurazione nell’ambito della funzione pubblica. Nella sua Storia del Giappone e dei giapponesi, Edwin O. Reischauer, ambasciatore degli Stati Uniti a Tokyo dal 1961 al 1966, ha scritto che le persone epurate furono complessivamente 200.000 e che la categoria maggiormente colpita fu quella degli insegnanti.
L’Imperatore non fu processato perché Mac Arthur, a cui fu affidato il compito di governare il Giappone sino alla fine della transizione, sapeva che il sovrano era, agli occhi dei giapponesi, una sorta di semidio. Avevano accettato i processi e le purghe perché erano consapevoli dei misfatti di cui la casta dei politici e dei militari si era macchiata prima della guerra e durante il conflitto. Ma un processo all’imperatore sarebbe stato percepito come un intollerabile insulto alla identità spirituale del Paese e avrebbe creato un clima di pericolosa instabilità. Questa scelta politica ebbe il grande merito di facilitare la transizione. Grazie a Mac Arthur, fu più facile fare accettare dai giapponesi una costituzione democratica in cui l’imperatore perdeva la sua natura semi-divina e diventava «simbolo dello Stato e della unità della nazione». Lo stesso Hirohito aveva facilitato l’operazione con un messaggio al suo popolo il 1° gennaio 1946 in cui aveva dichiarato di rinunciare alla sua ascendenza divina.
Ma la percezione popolare resta, sia pure confusamente, quella del passato. Quando Akihito, imperatore dal 12 novembre 1990, ha annunciato al Paese, nello scorso luglio, il suo desiderio di abdicare, il messaggio ha creato nel Paese sorpresa e sconcerto. Toccherà al parlamento di Tokyo decidere se un semidio abbia il diritto di andare a riposo.