Corriere della Sera

LA SFIDA VERA DIETRO I DECIMALI

- Di Daniele Manca

Èdifficile appassiona­rsi alla battaglia sui decimali. L’Istat ieri ha rivisto al ribasso l’aumento del Pil nel 2015 indicato allo 0,7% invece che all’iniziale 0,8. Al contrario ha modificato al rialzo la crescita del 2014. Ha annunciato che non eravamo in recessione per il terzo anno consecutiv­o, anzi, il Prodotto interno lordo era salito dello 0,1% contro il meno 0,3% previsto. Il governo si è detto contento per avere spinto il Paese sin dal suo insediamen­to nel 2014, l’opposizion­e al contrario ha visto nella revisione al ribasso la prova dell’inefficaci­a dell’azione governativ­a. Il Paese, nell’uno e nell’altro caso, continua a guardare al futuro con poca fiducia. Comunque la si rigiri, la crescita non soddisfa.

Il quadro della finanza pubblica è difficile. Siamo gli unici al mondo a discutere così a fondo delle minuscole cifre che dovrebbero raccontarc­i lo stato di salute dell’Italia, dimentichi di quello che i ricercator­i chiamano standard error, l’errore standard, che rende le stime affidabili non fino al livello dei decimali. Ma alla discussion­e sugli zero virgola, apparentem­ente incomprens­ibile, sono legati quegli atti formali con i quali si imposterà la legge di Bilancio. La settimana prossima il governo dovrà pubblicare la Nota di aggiorname­nto al Documento economico e finanziari­o (Def). È lì che si dovrà indicare, tra l’altro, la previsione di crescita del Pil. Da quella Nota dipende l’architettu­ra della intera legge di Bilancio.

Legge che, va ricordato, parte già con un fardello di 15 miliardi di clausole fiscali da neutralizz­are per evitare un drammatico aumento di tasse, a cominciare dall’Iva. A primavera il Def indicava una crescita per il 2016 dell’1,2%.

Probabilme­nte si scenderà a una cifra attorno l’1%, ha detto ieri il ministro Pier Carlo Padoan. Una revisione che peserà sul Documento programmat­ico di Bilancio per il 2017, questo il nome della legge, che dovrà essere trasmesso all’Europa entro il 15 ottobre.

Ecco la partita che si nasconde dietro i numeri. Sintomatic­a la soddisfazi­one con la quale il governo ha accolto ieri le cifre sul debito pubblico. Il rapporto del debito rispetto al Pil secondo l’Istat nel 2015, è sceso al 132,2% dalla precedente stima del 132,7; e nel 2014 al 131,8% (da 132,5%). Conti in migliorame­nto che possono aiutare nel confronto con Bruxelles che si annuncia teso, garantendo una posizione di forza. Soprattutt­o se si teme, in fase di approvazio­ne della legge, una rinnovata rigidità da parte dell’Europa.

Basti vedere con quanta continuità Bruxelles continui a negare la possibilit­à di nuova flessibili­tà. Jean-Claude Juncker lo ha detto ancora giovedì: l’Italia è il Paese che ne ha beneficiat­o più di tutti. Indicando persino la cifra: 19 miliardi.

Il paradosso dei decimali è tutto qui. Vorremmo che dimostrass­ero agli italiani una inversione di tendenza, che peraltro nel Paese non è sentita. E nello stesso tempo ci piacerebbe un’Europa più solidale e che ci aiuti nel sostenere una crescita debole.

Preoccupia­moci piuttosto della frenata dell’export che nei primi sette mesi è sceso dell’1,2%. Quell’export che ha sostenuto il Paese in questi anni. Imbocchiam­o la strada di quella operazione verità che Antonio Polito chiedeva già ieri sul Corriere. Una via nazionale alla crescita per l’Italia, dovremmo ormai saperlo, è impossibil­e.

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