LA SFIDA VERA DIETRO I DECIMALI
Èdifficile appassionarsi alla battaglia sui decimali. L’Istat ieri ha rivisto al ribasso l’aumento del Pil nel 2015 indicato allo 0,7% invece che all’iniziale 0,8. Al contrario ha modificato al rialzo la crescita del 2014. Ha annunciato che non eravamo in recessione per il terzo anno consecutivo, anzi, il Prodotto interno lordo era salito dello 0,1% contro il meno 0,3% previsto. Il governo si è detto contento per avere spinto il Paese sin dal suo insediamento nel 2014, l’opposizione al contrario ha visto nella revisione al ribasso la prova dell’inefficacia dell’azione governativa. Il Paese, nell’uno e nell’altro caso, continua a guardare al futuro con poca fiducia. Comunque la si rigiri, la crescita non soddisfa.
Il quadro della finanza pubblica è difficile. Siamo gli unici al mondo a discutere così a fondo delle minuscole cifre che dovrebbero raccontarci lo stato di salute dell’Italia, dimentichi di quello che i ricercatori chiamano standard error, l’errore standard, che rende le stime affidabili non fino al livello dei decimali. Ma alla discussione sugli zero virgola, apparentemente incomprensibile, sono legati quegli atti formali con i quali si imposterà la legge di Bilancio. La settimana prossima il governo dovrà pubblicare la Nota di aggiornamento al Documento economico e finanziario (Def). È lì che si dovrà indicare, tra l’altro, la previsione di crescita del Pil. Da quella Nota dipende l’architettura della intera legge di Bilancio.
Legge che, va ricordato, parte già con un fardello di 15 miliardi di clausole fiscali da neutralizzare per evitare un drammatico aumento di tasse, a cominciare dall’Iva. A primavera il Def indicava una crescita per il 2016 dell’1,2%.
Probabilmente si scenderà a una cifra attorno l’1%, ha detto ieri il ministro Pier Carlo Padoan. Una revisione che peserà sul Documento programmatico di Bilancio per il 2017, questo il nome della legge, che dovrà essere trasmesso all’Europa entro il 15 ottobre.
Ecco la partita che si nasconde dietro i numeri. Sintomatica la soddisfazione con la quale il governo ha accolto ieri le cifre sul debito pubblico. Il rapporto del debito rispetto al Pil secondo l’Istat nel 2015, è sceso al 132,2% dalla precedente stima del 132,7; e nel 2014 al 131,8% (da 132,5%). Conti in miglioramento che possono aiutare nel confronto con Bruxelles che si annuncia teso, garantendo una posizione di forza. Soprattutto se si teme, in fase di approvazione della legge, una rinnovata rigidità da parte dell’Europa.
Basti vedere con quanta continuità Bruxelles continui a negare la possibilità di nuova flessibilità. Jean-Claude Juncker lo ha detto ancora giovedì: l’Italia è il Paese che ne ha beneficiato più di tutti. Indicando persino la cifra: 19 miliardi.
Il paradosso dei decimali è tutto qui. Vorremmo che dimostrassero agli italiani una inversione di tendenza, che peraltro nel Paese non è sentita. E nello stesso tempo ci piacerebbe un’Europa più solidale e che ci aiuti nel sostenere una crescita debole.
Preoccupiamoci piuttosto della frenata dell’export che nei primi sette mesi è sceso dell’1,2%. Quell’export che ha sostenuto il Paese in questi anni. Imbocchiamo la strada di quella operazione verità che Antonio Polito chiedeva già ieri sul Corriere. Una via nazionale alla crescita per l’Italia, dovremmo ormai saperlo, è impossibile.