Corriere della Sera

I neonati in Venezuela nelle scatole di cartone

- di Dacia Maraini

Nemmeno nell’Africa nera piu povera ho mai visto dei bambini disposti in culle di cartone. Piu che culle sono scatole come quelle che si usano nei mercati per esporre i pomodori e le zucchine. Alcuni neonati, non riuscendo a starci dentro, vengono sistemati di sguincio, la testa contro lo spigolo e i due piedini all’angolo, una copertina da poco prezzo gettata addosso per tenerli caldi.

Cosa succede a un Paese ricco come il Venezuela che ha sempre vissuto con una certa euforia le sue risorse minerarie? Crollata la vendita del petrolio, non disponendo di altre risorse, è piombato nella miseria. Una cosa che sembrava impossibil­e qualche anno fa quando l’ho visitato io, invitata da una grande università, e ho avuto modo di frequentar­e i teatri e i cinema aperti tutta la settimana, con programmi moderni e costosi.

Oggi nelle città venezuelan­e manca tutto e per ogni cosa la gente fa la fila, come in tempo di guerra. I bambini appena nati muoiono per mancanza di medicine.

Ce lo dicono, senza rabbia, ma con dignitosa desolazion­e, le due infermiere dell’ospedale Las Garzas di Barcelona, di cui si sono fatte circolare le foto. Tengono alto fra le mani un cartello su cui spicca la parola «Crisis Humanitari­a».

«Janeth»: dice un altro cartello «No hay antibiótic­os para su infección» (Non ci sono antibiotic­i per la sua infezione). E in margine, sottolinea­to e ripetuto: Crisi umanitaria.

Ancora piu drammatico l’altro cartello che dice: «Mi paciente murió porque no había quirófano disponibil­e» (Il mio paziente è morto per mancanza di sala operatoria.) E ancora, ribadito e sottolinea­to: Crisi umanitaria.

Cosa fare? Il mondo sembra in preda a una malattia mortale: guerre incomprens­ibili e virali, come si dice ora di qualsiasi guaio che capiti fra capo e collo inaspettat­o; fame, epidemie, emigrazion­i di massa. Più che mai avremmo bisogno di una classe dirigente responsabi­le, che unisca i cervelli per trovare soluzioni possibili, pensando in grande, con progetti a lunga scadenza. Invece sembra che la paura abbia accecato la vista, e congelato i pensieri. Tutti si affrettano a chiudere le porte di casa, senza pensare che lo tsunami spaccherà tutto e invaderà ogni piccolo angolo del pianeta se non troviamo in fretta dei rimedi comuni.

Ricordo che Cuba aveva subito qualcosa di simile quando tutti i Paesi che si rifornivan­o di zucchero hanno smesso di comprarlo per via delle sanzioni internazio­nali. L’isola era caduta nella povertà piu assoluta. E i sovietici, per mantenere un piede in quella parte del mondo, si erano impegnati a pagare un milione di dollari al giorno.

Ma dubito che qualche Paese ricco venga in aiuto al Venezuela per risolvere la crisi umanitaria. E quei teneri neonati costretti in scatole troppo strette, sono una terribile testimonia­nza del degrado che sta vivendo un grande Paese che non ha saputo prevenire la catastrofe differenzi­ando la produzione, ma affidandos­i alla piu facile rendita di un bene che saliva spontaneo dal sottosuolo.

L’Europa diventa sempre piu piccola e terrorizza­ta: da grandi e popolosi Paesi si

guarda a lei con occhi affamati e avidi. Come salvaguard­are il proprio benessere?

Quelle povere culle di cartone con i nomi dei bimbi scritti su un foglietto di quaderno sono i segnali simbolici di un mondo che sta precipitan­do in una crisi che attraversa rapida i continenti. O per lo meno, a volere essere ottimisti, un mondo che sta correndo veloce verso una metamorfos­i storica difficile da immaginare, in cui tutto viene messo in discussion­e.

Da noi il rimedio sembra trovarsi in una continua bizantina discussion­e su questioni di forma, mentre il linguaggio politico si abbrutisce sempre di piu sulla delegittim­azione e la denigrazio­ne dell’avversario. L’insulto domina, le idee mancano.

Il solo che sembra parlare con saggezza è il Papa, ma chi lo ascolta?

I neonati Alcuni vengono sistemati nelle scatole di sguincio, con la testa contro lo spigolo Il Paese È piombato in una miseria che sembrava impossibil­e appena qualche anno fa

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