Google ora pensa a Twitter: il titolo vola a Wall Street
Balzo del titolo a Wall Street, guadagna oltre il 21%. Offerta di Salesforce
È il 30 ottobre 2008 quando l’allora amministratore delegato di Twitter, Ev Williams, scrive agli azionisti per dire che esistono solo tre buoni motivi per vendere una società: il prezzo offerto è superiore al valore intrinseco della stessa compagnia, esiste il pericolo che un concorrente faccia meglio quello che si sta offrendo o si vuole andare a lavorare per una società migliore. Allora era stato Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, a trattare per mezzo miliardo di dollari. Twitter era agli inizi, Jack Dorsey era appena stato defenestrato e i soci resistettero alla facile tentazione di cedere ai «pochi, maledetti e subito». Ma ora, a distanza di quasi otto anni da quell’evento, almeno uno dei tre motivi per vendere sembra esserci. Secondo alcuni, anzi, si stanno realizzando tutti e tre. Così dopo le voci di cessione a Disney — legate al fatto che Dorsey, tornato a capo di Twitter, è anche nel board della società di Topolino — ora Wall Street punta su Google o Salesforce, guidata da Marc Benioff. Ieri la voce ha portato Twitter a guadagnare oltre il 20% in un’unica seduta. Va detto che Google non è mai riuscita a creare un social network di successo, nonostante l’oggettivo interesse dell’architettura di Google Plus.
La società guidata da Dorsey, ieri, capitalizzava oltre 15 miliardi grazie al rialzo. Quindici volte quello che gli azionisti erano pronti ad accettare nel 2008. Ma, nonostante questo, il valore non può essere considerato un termometro del successo. Quotata nell’esuberanza generale a fine 2013 a 26 dollari, la società dei tweet, alla fine della prima giornata di Borsa, era già arrivata a 44 dollari. Sui massimi ha toccato in questi tre anni i 70 dollari. Ieri navigava a 22.
Numeri che pesano. Twitter, nonostante la riconosciuta capacità di influenzare la grammatica e la sintassi di diversi linguaggi occidentali, e nonostante l’attenzione religiosa che normalmente gli viene dedicata da politici, giornalisti e artisti, non ha mai trovato un vero modello di business. È rimasto un social network fondamentalmente d’élite. Strumento di democrazia per alcuni, amplificatore di stupidaggini da bar per altri, come pensava Umberto Eco. E le sue difficoltà aprono anche un interrogativo non banale sulla supposta capacità di Internet di riuscire a offrire agli utenti servizi di qualità basandosi solo sulla pubblicità, ergo gratuitamente. Il web ha forse bisogno di un modello di business. Ecco la lezione di Twitter.
Tra i buoni motivi per vendere una società il fatto che l’offerta sia superiore al valore intrinseco della compagnia A Wall Street Il gruppo capitalizza circa 15 miliardi di dollari. Quell’interesse della Disney