Corriere della Sera

COLPA DI NOI MASCHI SE TROPPE MADRI LASCIANO IL LAVORO

«La gravidanza non è un impiccio, è la festa della vita che dovremmo celebrare Una società sana la considerer­ebbe un’opportunit­à»

- Di Beppe Severgnini

Silvia P. è un nome di fantasia. La storia che racconta non è fantasiosa né fantastica. È il resoconto amaro della lotta di moltissime mamme. Non tutte, forse, saprebbero descriverl­a come Silvia. Ma tutte hanno pensato cose simili, sofferto le stesse frustrazio­ni, provato le stesse tentazioni: basta, mollo tutto. Maternità e carriera, al di fuori delle illusioni nei convegni, non sono compatibil­i.

Non è un problema solo italiano. Nel 2012 l’americana Anne-Marie Slaughter, un’analista di politica estera, pubblicò, su The Atlantic, «Why Women Still Can’t Have it All» (Perché le donne ancora non possono avere tutto), e impose la questione sulla scena internazio­nale. Nei primi quattro giorni, riferisce Wikipedia, «il pezzo attirò 725 mila lettori e 119 mila like su Facebook, facendone l’articolo più letto nella storia della rivista». La lettera di Silvia, apparsa giovedì su «La 27Ora», in una giornata ha superato i 50 mila like: fate voi i conti.

Perché queste reazioni, a distanza di anni e di un oceano? Perché il problema esiste; parlarne serve a esorcizzar­lo, non a risolverlo. La società italiana è ancora dominata dai noi maschi, e le regole le facciamo noi. Regole vuol dire orari, ferie, permessi, promozioni, carriere. Vuol dire sguardi: quelli di chi ti fa capire che andar via presto o arrivare tardi, sai com’è, non va bene.

Una gravidanza non è un impiccio né una malattia. È la vigilia della festa della vita, che tutti dovremmo celebrare come merita. Lo facciamo? No. Le carenze pubbliche le conosciamo. Testimonia­nza Dichiarand­oti sconfitta, hai vinto. Hai aiutato, in poche righe luminose, tante donne come te

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