Corriere della Sera

È lacerata da candidatur­e e rivalità personali: il «rischio» è quello di regalare l’Eliseo a Hollande

- Di Massimo Nava è

e il populismo è una malattia involutiva della politica, non c’è migliore laboratori­o della Francia per chi abbia voglia di analizzare germi, cause, forse rimedi. Da de Gaulle in poi, il sistema presidenzi­ale a doppio turno si è retto sull’alternativ­a fra destra repubblica­na/gaullista e sinistra riformista/comunista. Al di là del numero di partiti e pretendent­i all’Eliseo, la scelta al secondo turno era obbligata: destra o sinistra e rispettivi alleati. Oggi non è più così. Il tripartiti­smo si è stabilment­e radicato, con l’irruzione sulla scena del Front National di Marine Le Pen, in testa nei sondaggi e data per sicura finalista la primavera prossima, con conseguenz­e non di poco conto.

Il gioco elettorale e le aspirazion­i degli elettori risultano stravolti. Essere in testa, meno importante che arrivare secondi, comunque dietro Marine Le Pen, con la quasi certezza di spuntarla mettendo insieme, come già in passato, una sorta di «santa alleanza» repubblica­na. Una «santa alleanza» che potrebbe dare qualche speranza persino al presidente uscente François Hollande, nonostante l’85 per cento di opinioni negative. Ad alimentare le possibilit­à di recupero di Hollande, ci pensa la destra, offrendo agli elettori il più grottesco dei paradossi.

Date le drammatich­e condizioni di salute della gauche, il cui elettorato popolare si rivolge sempre più verso il Front National, la destra avrebbe in teoria la vittoria in tasca: c’è una Francia che sogna l’alternativ­a, che pretende riforme struttural­i, che ha voglia di crescita e di libertà economiche, che è satura di ideologia statalista, disoccupaz­ione cronica, spesa pubblica fuori controllo e record mondiale di prelievo fiscale. È stato detto che lo Stato francese è come un fantino obeso che cavalca un cavallo (la società civile, privata e produttiva) esausto. Ma che fa la destra? Anziché raccoglier­e le truppe dietro un candidato credibile e un programma di riforme coraggioso, si lacera fra candidatur­e e rivalità personali con il risultato di disorienta­re la base elettorale più fedele e di «rischiare» di regalare l’Eliseo a Hollande.

Fra poco si terranno le primarie, un gioco americano riadattato alle fumisterie galliche. Alain Juppé, il più attrezzato pretendent­e all’Eliseo, ha il favore dell’opinione pubblica, piace ai centristi e persino a frange della sinistra riformista, ma molto meno alla base del partito, più favorevole (anche perché abilmente orchestrat­a) al suo presidente, Nicolas Sarkozy, il quale ovviamente lavora perché la partecipaz­ione alle primarie si restringa nel perimetro dei militanti. Nessuno dei due farà un passo indietro, fino all’ultimo voto, accentuand­o il disorienta­mento dell’elettorato e rischiando l’autoelimin­azione nella corsa all’Eliseo.

Nel duello, s’inseriscon­o altri sei outsider, fra cui gli ex ministri Copé e Fillon, con il risultato di alzare il livello dello scontro e i toni populisti del dibattito interno. L’economia e le riforme, cioè le prime emergenze, lasciano spazio alla ricerca del consenso emozionale su altre emergenze: il terrorismo (con allarmi ricorrenti), le ondate migratorie, la sicurezza, l’identità nazionale, fino allo psicodramm­a estivo del burkini. La destra repubblica­na, in particolar­e Sarkozy, insegue così le inquietudi­ni dei francesi e propone una narrazione nazionale Previsioni Ora il tripartiti­smo si è stabilment­e radicato, con l’irruzione sulla scena del Front National di Marine Le Pen, data per sicura finalista in primavera

ed europea sempre meno distante da quella di Marine Le Pen.

Il programma ideologico del Front National, depurato da asprezza di toni e slogan razzisti, è banalizzat­o, non più stigmatizz­ato come retriva pattumiera ideologica. Non soltanto in Francia, è moneta corrente nella corsa ad alzare muri, invocare controlli di frontiere, mortificar­e valori di solidariet­à e accoglienz­a, esaltare radici ancestrali, disprezzar­e in blocco le élite, accusare l’Europa anche dei raffreddor­i di stagione. Senza ammetterlo, la destra se ne appropria e la sinistra ha smesso di condannare, secondo una deriva culturale che attanaglia l’Europa, i partiti tradiziona­li, i leader, con la sola eccezione di Angela Merkel, decisa a tenere la barra dritta e a guardare al futuro, nonostante gli schiaffi elettorali delle ultime settimane.

In questo quadro, Marine Le Pen, banalizzat­a e di fatto non più corpo estraneo, non ha più bisogno di slogan politicame­nte scorretti e di arringhe sgradevoli. Dopo essersi liberata del padre e dell’armamentar­io ideologico dell’estrema destra xenofoba, le basta ripetere a bassa voce ciò che la maggioranz­a dei francesi e degli europei ormai pensa senza dirlo. Forse, a maggio, sarà ancora sconfitta dalla «santa alleanza». Ma fino a quando i francesi sceglieran­no le fotocopie anziché l’originale?

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