Una casa-ufficio per due Come si fa a «resistere»
a quando sono consulente è un vero inferno», si sfoga Serenella C., ex dirigente di un gruppo del Nordest che ha delocalizzato in Romania. «L’alternativa era il trasferimento, con tre bambini sono rimasta qui. Ma lavorare nella stessa stanza col marito — il suo scrive di auto per vari periodici — è follia. Quando fischietta mentre sto facendo i conti, o taglia le unghie dei piedi mentre rilegge un articolo, ho voglia di strozzarlo».
Benvenuti alla Grossa Grana dell’era digitale. Lavorare da casa col partner nell’altra stanza, o peggio ancora nella propria. Le cifre si rincorrono, e non tutti concordano, ma secondo il World Economic Forum, nel 2020 la metà dei lavoratori potrebbe esserlo da casa. Negli Stati Uniti, al 2012 erano 13,4 milioni, il 41% in più rispetto a dieci anni prima. In Italia, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il 17% delle grandi aziende ha già avviato progetti strutturati, e una su due ha iniziative di flessibilità. Costrette a rinegoziare i propri spazi, coppie di lotta e di lavoro. Con ricadute, spesso, sul ménage. «Ciao, caro. Vado in ufficio nel living, e speriamo di non ucciderci».
Quanti di voi, per dire, sanno davvero cosa fa il partner sul lavoro? Il teleworking smaschera dal vizio del fumo a un’eventuale doppia vita. Come quel funzionario che se la intendeva con una collega, e una volta trasferito a casa trovava sempre scuse per uscire. Tempo due settimane sono stati sgamati, e adesso a frequentarsi sono gli ex. Dopo l’email accorata di una donna che annunciava il divorzio perché assillata dal marito, Forbes ha messo a punto una piccola guida: «Lavorare da casa senza ammazzare il partner», dal definire i propri spazi a darsi un orario di lavoro. Da mesi è l’articolo più letto. Ma non tutti sono determinati come la coppia di Millennial che ha mutuato dal manuale aziendale le riunioni «di obiettivo» alle otto del mattino.
Anche le coppie più rodate e con scopi comuni del resto faticano. Come Antonio e Patrizia Marras, stilista e ceo dell’omonima maison, sposati da 27 anni. «Ad Alghero», racconta lui, «abbiamo i nostri spazi. Le scrivanie sono vicine, ma io non ci sto mai. Sotto sfilata, però, quando ci ritroviamo fianco a fianco, l’ansia e i tempi stretti sfociano in liti anche importanti. Allora io me ne vado al cinema, Patrizia fa un giro lunghissimo con il cane Pierivo. La tentazione di mollare tutto è forte». L’ironia aiuta, e c’è chi suggerisce di trascorrere almeno un’ora al giorno con persone non troppo simpatiche, per esser più felici, poi, di rivedere il partner. Altri lamentano che tutto quel tempo insieme uccide la passione. «Io vado come un treno», raccontava al New York Times la scrittrice Emma Straub. «Non mi alzo finché non ho finito, e ho bisogno di silenzio completo. Lui, grafico, fa un sacco di pause. Quando viene a rompermi le scatole per flirtare o chiacchierare, devo sbatterlo fuori». Può capitare poi che, in assenza di un capo, uno dei due si atteggi a supervisore. Hai bisogno di staccare? Ti senti in colpa, fornisci spiegazioni. Il rischio che l’esperienza si trasformi in una sfida.
Non per tutti. I fidanzati Enrico Sola, pubblicitario, e Gaia Giordani, di Cosmopolitan.it, fanno di necessità virtù. «Abitando in un loft», racconta lui, «la privacy non sappiamo cosa sia. Paradossalmente, però, ci ha avvicinati. Pranziamo insieme, ci aiutiamo a vicenda. Alla fine sembra di lavorare meno». Complici, senza la pesantezza d’essere colleghi. Ma il dubbio rimane: che lo smartworking non sia poi così smart?
CostanzaRdO ifficile la vita per chi lavora da casa al tempo della fluidità degli ambienti. La cucina non ha più muri e si apre sul soggiorno. A separare i divani da elettrodomestici e pensili ci sono banchi superattrezzati dedicati al cooking show domestico (isole rituali, nel linguaggio promozionale del settore). I produttori di cucine allargano il loro catalogo fino a comprendere il salotto, in un unicum commerciale che corrisponde ormai a quello spaziale delle case. Cucina, sala da pranzo, salotto, studio, ingresso si sono fusi in un’unica grande zona giorno separata da una zona notte con camere da letto e spazi di servizio. Abbondano i locali tecnici bagni/lavanderie/cabine Cucina, sala da pranzo, salotto e studio si sono fusi in un’unica zona
armadio, ma predisporre zone dove lavorare tranquilli non sembra ancora una priorità (e nemmeno un mercato). Del resto, in questi anni, il nostro immaginario si è nutrito di un’idea del lavoro da casa molto libero e creativo. Film e serie tv hanno raccontato di giornaliste che scrivono rubriche accovacciate sul letto, pubblicitari che organizzano riunioni negli spazi smisurati dei loro loft, mamme che aprono asili nido in soggiorno. Nulla che suggerisca l’idea di un lavoro normale, magari pure ripetitivo, da fare nel silenzio e nella concentrazione. L’evoluzione architettonica ed edilizia della casa è lenta. Ci vorranno ancora anni per rispondere a questo tipo di bisogno in modo massivo. Fortunatamente designers, architetti e produttori di arredi sono molto più veloci. Non deve essere un caso se nelle ultime stagioni abbiamo visto ricomparire due pezzi che credevamo ormai estinti: il secretaire (che ora però nasconde cavi e prese) e il paravento (che adesso è molto stabile e insonorizzato).
* direttrice di «Abitare»