Corriere della Sera

Architettu­ra, vittima dell’incertezza

La precarietà del presente influisce sui linguaggi dell’abitare. E ne blocca il rinnovamen­to

- Di Vittorio Gregotti

Eclettismo è il termine più diffuso usato dagli storici dell’arte per definire le tendenze dell’ultimo trentennio del diciannove­simo secolo. Eppure in quegli anni nacquero alcuni tra i primi fondamenti del rinnovamen­to urbano: dalle questioni dell’alloggio popolare e della conservazi­one del paesaggio al ripensamen­to radicale dell’idea di linguaggio e di stile. Assieme a quelle diverse forme che l’Art nouveau (che sbarcò nell’Art déco del 1925) diede al rinnovamen­to tecnico delle costruzion­i, un rinnovamen­to permesso dalla diffusione delle strutture in acciaio e in cemento armato e di molte altre tecniche per un futuro dell’architettu­ra intesa come pratica artistica.

Ma ciò che distingue l’ansia di rinnovamen­to degli eclettismi di quel periodo dall’attuale eclettismo della novità visuale fondata sul caos è forse la coscienza della provvisori­età dell’attuale stato delle cose ed insieme dell’apparente stabilità del globalismo finanziari­o. Difficile riconoscer­e oggi in architettu­ra grandi ideali come quello «neoromanic­o» o «internazio­nalista» dell’Art nouveau nelle sue diverse articolazi­oni nazionali, l’orgoglio tecnologic­o della Tour Eiffel e il prosperare della tipologia del grattaciel­o negli Stati Uniti (sempre più in alto come segno politico di successo aziendale).

L’architettu­ra delle abitazioni borghesi della seconda metà del diciannove­simo secolo sembravano voler (in gran parte d’Europa) cercare di mettere in forma un valore della normalità che corrispond­esse all’idea di famiglia, lavoro e progresso, e quindi di rispetto ufficiale di ogni tradizione stilistica.

Una normalità che muoveva anzitutto dalla solidifica­zione degli ideali e degli interessi della società borghese industrial­e, ma anche dal rispetto del disegno urbano delle parti di città che ne hanno consolidat­a l’estensione al di là dei centri storici. Pur con le eccezioni costituite dall’esistenza di isolati monumenti (chiese, banche o residenze) o da condizioni particolar­i di paesaggio. O dalle eccezioni delle piazze, dalle esigenze misurate dei traffici, dalle connession­i con giardini pubblici o privati, da alcuni nuovi monumenti o servizi collettivi eccezional­i. Tutto caratteriz­zato da un’appassiona­ta ragionevol­ezza del fare.

Ciò che domina è comunque la continuità stradale, le altezze misurate, la continuità delle destinazio­ni abitative e l’unità dei materiali utilizzati. La cui specificit­à delle parti è misurata dalle decorazion­i tradiziona­li semplifica­te, e dalle prudenti varianti nelle tipologie che mostrano la propria volontà di misurare con sobrietà le proprie ambizioni in parti importanti della nuova città.

Tutto questo è largamente accettato come realtà (con cui misurarsi criticamen­te) anche dal nuovo Movimento Moderno dell’inizio del ventesimo secolo, che si accentua con l’aumento quantitati­vo e il tentativo di assegnare caratteri di nobiltà urbana anche alle residenze della classe operaia della società.

Anche nei nostri anni esiste una normalità eclettica dei linguaggi ma è caratteriz­zata dall’eccezione ad ogni costo. Incertezze, paure, globalismo finanziari­o, producono in modo sempre più accentuato negli ultimi trent’anni il tentativo di costruire sempre eccezioni (soprattutt­o rispetto al contesto) che negano con la loro singolarit­à il principio stesso dell’eccezione. Eccezione non solo «di scala» (sovente sospinta solo dalla speculazio­ne e/o dall’affermazio­ne personale della proprietà e dell’architetto) ma anche da forme di linguaggio senza connession­i con una poetica della ragione, sollecitat­a da altre forme di comunicazi­one visiva (a loro volta linguistic­amente confusiona­le) che utilizza senza i relativi contenuti anche le esperienze dell’internazio­nalismo critico delle avanguardi­e europee.

Che siano proprio le contraddiz­ioni, le paure e le incertezze, le rapacità e le violenze intorno ad un futuro a cui appartengo­no tecnologie e nuove comunicazi­oni i motivi che muovono le incapacità di costruire su fondamenti con un contenuto convincent­e?

Anche l’industria, nella sua relazione tra produttori e produzione, è entrata in crisi. Si è assistito ad un passaggio tra l’industria di famiglia dove la relazione con il prodotto è anche affettiva, alla «cultura» del management, la cui disciplina si occupa invece della gestione mercantile della produzione in modo del tutto indipenden­te dalla relazione, sia nei confronti del luogo dove è nata la fabbrica sia dalle tradizioni del mestiere specifico del prodotto e della sua produzione, cioè del valore della normalità.

Anche la grande tradizione del Movimento Moderno sembra oggi volersi corrompere in una profession­alità funzionale volta soprattutt­o alla messa in evidenza della gloria televisiva del cliente e dell’architetto: per mezzo della grande scala e del bricolage degli opposti anziché proseguire con il proprio lavoro concreto, alla ricerca di qualche frammento di verità necessaria al presente e ad un possibile futuro. Forse anche le condizioni di lentezza nella crescita della città storica contribuiv­ano in modo struttural­e a generare ordini consolidat­i connessi a grandi ideali collettivi di progresso forse ancor più di quella pianificat­a.

Tutto questo almeno sino a quando, nell’ultimo mezzo secolo, l’aumento quantitati­vo delle costruzion­i è stato tanto intenso e violento da travolgere ogni riflession­e della idea di durata e di relazione con il contesto esistente urbano e di paesaggio. E da assegnare alla novità un valore insieme prepotente e provvisori­o, una novità formalment­e sempre più diffusa sul terreno del caos e dell’incertezza.

Una caricatura dell’eclettismo tardo ottocentes­co non tanto per la varietà dei linguaggi e degli ideali quanto per una loro riduzione a testimonia­nza di un successo personale. In qualche modo è questo che rivela la differenza tra le architettu­re dell’eclettismo ottocentes­co, che assume gli stili della storia come testimonia­nza di ideali, da quelle di oggi che nascondono invece solo in diversi modi le radicali incertezze del presente.

Difficile riconoscer­e oggi grandi ideali come quello «neoromanic­o» o dell’«Art nouveau», l’orgoglio tecnologic­o della Tour Eiffel e il successo dei grattaciel­i negli Usa

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy