Architettura, vittima dell’incertezza
La precarietà del presente influisce sui linguaggi dell’abitare. E ne blocca il rinnovamento
Eclettismo è il termine più diffuso usato dagli storici dell’arte per definire le tendenze dell’ultimo trentennio del diciannovesimo secolo. Eppure in quegli anni nacquero alcuni tra i primi fondamenti del rinnovamento urbano: dalle questioni dell’alloggio popolare e della conservazione del paesaggio al ripensamento radicale dell’idea di linguaggio e di stile. Assieme a quelle diverse forme che l’Art nouveau (che sbarcò nell’Art déco del 1925) diede al rinnovamento tecnico delle costruzioni, un rinnovamento permesso dalla diffusione delle strutture in acciaio e in cemento armato e di molte altre tecniche per un futuro dell’architettura intesa come pratica artistica.
Ma ciò che distingue l’ansia di rinnovamento degli eclettismi di quel periodo dall’attuale eclettismo della novità visuale fondata sul caos è forse la coscienza della provvisorietà dell’attuale stato delle cose ed insieme dell’apparente stabilità del globalismo finanziario. Difficile riconoscere oggi in architettura grandi ideali come quello «neoromanico» o «internazionalista» dell’Art nouveau nelle sue diverse articolazioni nazionali, l’orgoglio tecnologico della Tour Eiffel e il prosperare della tipologia del grattacielo negli Stati Uniti (sempre più in alto come segno politico di successo aziendale).
L’architettura delle abitazioni borghesi della seconda metà del diciannovesimo secolo sembravano voler (in gran parte d’Europa) cercare di mettere in forma un valore della normalità che corrispondesse all’idea di famiglia, lavoro e progresso, e quindi di rispetto ufficiale di ogni tradizione stilistica.
Una normalità che muoveva anzitutto dalla solidificazione degli ideali e degli interessi della società borghese industriale, ma anche dal rispetto del disegno urbano delle parti di città che ne hanno consolidata l’estensione al di là dei centri storici. Pur con le eccezioni costituite dall’esistenza di isolati monumenti (chiese, banche o residenze) o da condizioni particolari di paesaggio. O dalle eccezioni delle piazze, dalle esigenze misurate dei traffici, dalle connessioni con giardini pubblici o privati, da alcuni nuovi monumenti o servizi collettivi eccezionali. Tutto caratterizzato da un’appassionata ragionevolezza del fare.
Ciò che domina è comunque la continuità stradale, le altezze misurate, la continuità delle destinazioni abitative e l’unità dei materiali utilizzati. La cui specificità delle parti è misurata dalle decorazioni tradizionali semplificate, e dalle prudenti varianti nelle tipologie che mostrano la propria volontà di misurare con sobrietà le proprie ambizioni in parti importanti della nuova città.
Tutto questo è largamente accettato come realtà (con cui misurarsi criticamente) anche dal nuovo Movimento Moderno dell’inizio del ventesimo secolo, che si accentua con l’aumento quantitativo e il tentativo di assegnare caratteri di nobiltà urbana anche alle residenze della classe operaia della società.
Anche nei nostri anni esiste una normalità eclettica dei linguaggi ma è caratterizzata dall’eccezione ad ogni costo. Incertezze, paure, globalismo finanziario, producono in modo sempre più accentuato negli ultimi trent’anni il tentativo di costruire sempre eccezioni (soprattutto rispetto al contesto) che negano con la loro singolarità il principio stesso dell’eccezione. Eccezione non solo «di scala» (sovente sospinta solo dalla speculazione e/o dall’affermazione personale della proprietà e dell’architetto) ma anche da forme di linguaggio senza connessioni con una poetica della ragione, sollecitata da altre forme di comunicazione visiva (a loro volta linguisticamente confusionale) che utilizza senza i relativi contenuti anche le esperienze dell’internazionalismo critico delle avanguardie europee.
Che siano proprio le contraddizioni, le paure e le incertezze, le rapacità e le violenze intorno ad un futuro a cui appartengono tecnologie e nuove comunicazioni i motivi che muovono le incapacità di costruire su fondamenti con un contenuto convincente?
Anche l’industria, nella sua relazione tra produttori e produzione, è entrata in crisi. Si è assistito ad un passaggio tra l’industria di famiglia dove la relazione con il prodotto è anche affettiva, alla «cultura» del management, la cui disciplina si occupa invece della gestione mercantile della produzione in modo del tutto indipendente dalla relazione, sia nei confronti del luogo dove è nata la fabbrica sia dalle tradizioni del mestiere specifico del prodotto e della sua produzione, cioè del valore della normalità.
Anche la grande tradizione del Movimento Moderno sembra oggi volersi corrompere in una professionalità funzionale volta soprattutto alla messa in evidenza della gloria televisiva del cliente e dell’architetto: per mezzo della grande scala e del bricolage degli opposti anziché proseguire con il proprio lavoro concreto, alla ricerca di qualche frammento di verità necessaria al presente e ad un possibile futuro. Forse anche le condizioni di lentezza nella crescita della città storica contribuivano in modo strutturale a generare ordini consolidati connessi a grandi ideali collettivi di progresso forse ancor più di quella pianificata.
Tutto questo almeno sino a quando, nell’ultimo mezzo secolo, l’aumento quantitativo delle costruzioni è stato tanto intenso e violento da travolgere ogni riflessione della idea di durata e di relazione con il contesto esistente urbano e di paesaggio. E da assegnare alla novità un valore insieme prepotente e provvisorio, una novità formalmente sempre più diffusa sul terreno del caos e dell’incertezza.
Una caricatura dell’eclettismo tardo ottocentesco non tanto per la varietà dei linguaggi e degli ideali quanto per una loro riduzione a testimonianza di un successo personale. In qualche modo è questo che rivela la differenza tra le architetture dell’eclettismo ottocentesco, che assume gli stili della storia come testimonianza di ideali, da quelle di oggi che nascondono invece solo in diversi modi le radicali incertezze del presente.
Difficile riconoscere oggi grandi ideali come quello «neoromanico» o dell’«Art nouveau», l’orgoglio tecnologico della Tour Eiffel e il successo dei grattacieli negli Usa