Eötvös, le «traversate» di un direttore teatrale
Transilvano del ’44 (come Ligeti è nato in una terra allora ungherese, oggi rumena), Peter Eötvös è troppo giovane per appartenere alla generazione dell’Avanguardia «dura e pura» ma troppo vecchio rispetto a quella che ha potuto prescinderne totalmente. Fin da ragazzo, quando perlopiù si dedicava alla musica per il teatro e per il cinema, trovò il modo di inventarsi un linguaggio comunicativo ma senza rinunciare a recare un apporto serio e originale alle logiche di astratto razionalismo che aveva ricevuto in eredità. E ciò, benché il suo portfolio annoveri non poche cose sinfoniche e cameristiche, lo ha naturalmente spinto verso il teatro, luogo della comunicazione per eccellenza. Ecco nascere dunque un catalogo di ben 12 lavori di teatro musicale, almeno due dei quali – Le tre sorelle da Cechov e Le balcon da Genet – sono già dei classici per numero e qualità di rappresentazioni. A Santa Cecilia l’onore invece di approntare la prima esecuzione italiana dell’ultima fatica di Eötvös, l’opera Senza sangue che, commissionata ed eseguita dalle Filarmoniche di New York e Colonia lo scorso maggio, si ispira all’omonimo romanzo di Baricco (Rizzoli, 2002): la storia della drammatica relazione tra una ragazza e colui che anni prima era stato il carnefice di suo padre. Nessun dubbio sull’interprete che dirigerà questa prima italiana: oltre che compositore e didatta, Eötvös è anche un eccellente direttore d’orchestra, meno noto di altri colleghi solo perché si impone, come Salonen, di limitare l’attività esecutiva quanto basta per non compromettere quella compositiva. Attesa a ottobre 2017 anche la première di un pezzo commissionato dalle orchestre di Santa Cecilia, della Scala, della Rai e del Maggio Musicale Fiorentino.