Luca, Paolo e «Colorado»: c’è la cornice ma manca il quadro
La quantità non è mai amica della qualità. Colorado è durato tre ore: per ammortizzare i costi, per attuare il meccanismo della pesca a strascico (alla fine nella rete qualcosa resta), per scoprire che senza un minimo di professionalità non si va da nessuna parte. Sul taccuino ho segnato Cristina D’Avena (ha interpretato «Hello» di Adele alla sua maniera, come fosse una sigla di cartoni animati per bambini, grazie anche a Rocco Tanica), Valeria Graci (più per stima che per performance), Franco Rossi, il cantante da balera, il finto presentatore Tony Bonji, Enzo Paci nelle vesti di Mattia Passadore, il genovese sfigato.
Ma ho segnato anche momenti di infinita tristezza, a cominciare da Andrea Pucci e Leonardo Manera. Ovviamente la comicità, come tante altre cose, è un punto di vista e, in questo caso, un punto di vista industriale. Con i comici si fanno serate, si fanno altri programmi tv, si fanno film: se la grana è più grossa, l’audience si allarga. Colorado, giunto intanto alla 18° edizione, si è sostituito a Zelig, che indubbiamente mirava a un target più alto e per questo sta ora pagando una crisi d’identità, in attesa del prossimo rilancio. Ma è lecito nel 2016 sentire battute come «Sai tutto di Napoleone? Una buona parte» o vedere parodie come quella del Tronco di spade?
Un discorso a parte meritano Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Nei programmi comici il presentatore ha un ruolo fondamentale, non è solo il gestore del traffico, è qualcosa di più. Dev’essere la spalla ideale di tutti i comici presenti sul palco. Un po’ come faceva con grande maestria Claudio Bisio a Zelig.Luca e Paolo sono molto bravi ma qui si sono limitati al minimo sindacale: non si sono mai spesi più di tanto, non si sono lasciati coinvolgere (a un certo punto ho persino pensato che l’abbiano fatto apposta per non segnare una distanza troppo vistosa tra loro e gli altri). Insomma, in Colorado c’è la cornice ma manca il quadro.