Un’altra rivoluzione dall’alto
Ricreazione finita. Ridimensionati i «cinque ragazzi», Beppe Grillo li ha chiamati così, del Direttorio. Il leader torna anche formalmente lui. E si riafferma un modello di potere più verticale che mai.
Si era captato più di un segnale sul ritorno di Grillo alla guida del Movimento 5 Stelle. Non che l’avesse mai abbandonata davvero, ma quella parola pronunciata alcuni mesi fa, «garante», doveva certificare il passo di lato del leader; e la volontà di dare spazio e visibilità a una nomenklatura cooptata dal vertice. Il caos intorno al Campidoglio di Virginia Raggi; le faide nei paraggi del direttorio; le gaffe e le tensioni diffuse: tutto questo ha sgualcito pericolosamente l’immagine della forza nuova, virtuosamente alternativa al sistema. E Grillo è tornato leader politico. A tutti gli effetti. Con Casaleggio junior al posto dello scomparso Gianroberto. E con il commissariamento di quei dioscuri che sembravano destinati a luminose carriere istituzionali e, in futuro, di governo. È come se a Palermo, ieri, Grillo avesse rispedito in seconda fila le sue giovani controfigure. Si riparte da lui, si riscrivono i «comandamenti» del Movimento, si regola l’accesso dei dirigenti alle trasmissioni televisive che solleticano il protagonismo. Il fatto che parli di «fase due» e di ritorno allo «spirito originario», di «seconde generazioni», sa di bocciatura della precedente: almeno dell’ultima fase. In modo sbrigativo, Grillo smonta e rimonta il suo presepe politico, dimostrando la presa totale sul Movimento. «Sì, sono tornato. E voglio vincere le elezioni», ha annunciato ieri da Palermo dove si svolge la festa dei Cinque Stelle. Rimane, tuttavia, la sensazione sgradevole dell’ennesima rivoluzione interna decisa dall’alto e in modo solitario: anche se poi certamente la Rete approverà entusiasta. È chiaro che per Grillo i problemi degli ultimi mesi sono nati perché il controllo ferreo del passato si era allentato, e non perché quel modello alla lunga non tiene. Eppure, non ci si può non chiedere come mai l’icona concorde del M5S si sia spezzata quando dai proclami dell’opposizione il Movimento è passato alla realtà del governo.