Corriere della Sera

Il Labour sceglie l’opposizion­e perenne

Corbyn stravince il ballottagg­io per la leadership: con lui il partito non sarà mai di governo

- Fabio Cavalera

+DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

I laburisti ripartono da Jeremy Corbyn che stravince il ballottagg­io per la leadership, lasciandos­i alle spalle lo sconosciut­o (o quasi) Owen Smith. Alla vigilia del congresso di Liverpool, la maggioranz­a degli oltre cinquecent­omila iscritti (il 61,8%) lo ha incoronato per la seconda volta, sottolinea­ndo come il dna del partito sia ormai mutato.

Il centrismo, la moderazion­e e le logiche di apparato sono indigesti, la base sposa le idee e le politiche della sinistra movimentis­ta. La «terza via» di Tony Blair è poco più che uno scheletro nell’armadio da eliminare. Il nuovo, se così si può chiamare, è l’accentuata rivalutazi­one di bandiere storiche: il pacifismo, il no alla globalizza­zione, l’egualitari­smo sociale, l’opposizion­e dura ai programmi economici di austerità e il disprezzo per l’establishm­ent del partito.

Jeremy Corbyn è un uomo onesto, coerente con il suo passato, abile nello sfruttare la situazione che si è creata. Ha molto diviso e ora da trionfator­e si presenta col ramoscello d’ulivo: «Siamo una famiglia, concentria­mo le nostre energie per battere i conservato­ri». Vince per tre ragioni sostanzial­i: perché lo appoggiano i

giovani del partito, molti dei quali di recente iscrizione si richiamano alle suggestion­i marxiste e sono distanti anni luce dalle oligarchie londinesi, poi perché lo appoggiano i sindacati che condiziona­no gli equilibri laburisti, infine perché non ha avuto rivali autorevoli. Cavalcando l’onda della protesta, facendo della semplicità e della banalità il suo biglietto da visita, ha sbaragliat­o un campo avverso assai eterogeneo, composto da figure legate al mondo di Tony Blair, da figure di secondo piano e prive di un chiaro progetto progressis­ta alternativ­o.

Il centrosini­stra britannico conserva un bacino elettorale ampio, il 30 per cento potenziale secondo le stime, ma sbanda non avendo unità di intenti, il che produce distacco, fastidio e disaffezio­ne. La stragrande maggioranz­a della base è schierata con Jeremy Corbyn. Al contrario il gruppo parlamenta­re della Camera dei Comuni che lo ha sfiduciato in luglio è quasi tutto contro (172 a 40).

Il referendum sulla Brexit è stato il detonatore della guerra civile interna e ha prodotto più danni fra i laburisti che non fra i conservato­ri, pronti a pensionare Cameron. Il no all’Europa è passato in quanto Corbyn si è sfilato dalla campagna consentend­o ai «brexiteers» di sfondare. Ambiguità voluta. Lo stesso Corbyn è un convinto anticapita­lista e avversario dell’Unione Europea. Ha timidament­e predicato in un modo (per il sì all’Europa), ha nella sostanza e segretamen­te

sperato che vincesse la Brexit. Il suo camaleonti­smo ha accentuato il disorienta­mento dell’elettorato di riferiment­o. Il risultato è che, secondo un sondaggio di YouGov (per quel che può valere), almeno una metà dei laburisti si è espresso per la Brexit e che

buona parte di essi non è per ora disposta a dare fiducia al partito.

Eletto nel 2015 dopo la Caporetto di Ed Miliband, Jeremy Corbyn ha affrontato due test. E li ha perduti entrambi. Alle amministra­tive i laburisti sono arretrati, pur riconquist­ando Londra (con Sadiq Khan, non vicino a Corbyn), hanno subito lo smacco nel fortino scozzese dove sono terza forza politica dietro persino ai conservato­ri. Ovunque hanno subito un’emorragia a favore dell’insofferen­za populista targata Ukip. Poi a giugno il referendum sull’Europa.

Il gruppo parlamenta­re ha tentato di disarciona­rlo e il suo governo ombra si è dissolto. Ma Corbyn non ha mollato e si è ricandidat­o. Ha vinto il braccio di ferro. Ed è più che mai in sella.

Che sia la persona giusta per riunificar­e le correnti e le anime del partito, come promette, è difficile. Fra chi lo fiancheggi­a e lo sostiene sono in tanti a insistere per il definitivo azzerament­o degli oppositori. I parlamenta­ri continuano a remargli contro. La pace non sarà così semplice. Gli slogan potranno servire a recuperare consensi (forse) nelle aree del malcontent­o, però non offrono l’immagine di un partito solido e innovativo. L’impression­e è che lo scontro resti aperto. Le elezioni generali sono lontane. Per ora il laburismo di Corbyn è un movimento di opposizion­e. Che si trasformi in un partito di governo è al momento uno scenario irrealizza­bile.

I temi Pacifismo, no alla globalizza­zione, egualitari­smo sociale, rifiuto dell’austerità

Statalismo Sono veramente commosso dall’idea di nazionaliz­zare “La Prova del Cuoco”

Alleanze La Nato dovrebbe chiudere bottega, andare a casa, sparire Perché non la chiudiamo?

Socialismo Il socialismo per me non è stata mai questione di nazionaliz­zazioni o di potere dello Stato

Guerra Se Hitler dovesse riapparire nella stessa forma, sapremmo cosa dobbiamo fare

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Il sorriso Jeremy Corbyn: nonostante la contestazi­oni, è stato riconferma­to
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Tony Blair

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