Corriere della Sera

Cossiga innovatore irruento Anticipò la caduta del Muro

- Maurizio Caprara

Èconvinzio­ne diffusa che Aldo Moro sia stato malvisto dagli Stati Uniti, a causa della scelta di favorire un avviciname­nto del Partito comunista italiano alla maggioranz­a di governo dal 1976, e che nella Democrazia cristiana Francesco Cossiga sia stato l’Amerikano con la K, l’esecutore obbediente delle volontà di Washington. Di sicuro nel 1978, mentre il presidente della Dc era prigionier­o delle Brigate rosse, il ministro dell’Interno fu un pilastro del rifiuto di una trattativa, condiviso da Washington. Cossiga fu certo molto spesso in sintonia con gli americani. Ma non sempre, e le sue divergenze con il Paese più potente dell’Occidente, quando ci furono, furono serie.

Nel marzo 1986, prima ancora dei bombardame­nti sulla casa del colonnello Muammar el Gheddafi, si ebbe notizia che gli Usa avevano affondato una nave libica in reazione a un lancio di missili verso aerei statuniten­si sul Golfo della Sirte. Da meno di un anno presidente della Repubblica, Cossiga ne fu «contrariat­o». La sua tesi era che il dittatore libico non andava reso una vittima, obbligando gli arabi moderati a difenderlo, e che la Marina americana non doveva mostrare i muscoli verso Tripoli su navi partite da basi in Italia, Paese al quale non conveniva complicare le relazioni con la Libia.

È un corposo libro di Ludovico Ortona, La svolta di Francesco Cossiga. Diario del Settennato (1985-1992), Aragno editore, a fornire una ricostruzi­one interessan­te di quei momenti. Ortona era il consiglier­e del presidente della Repubblica incaricato di occuparsi della stampa, veniva dalla diplomazia ed era stato per anni all’estero. La sua ricostruzi­one di una visita del segretario di Stato, George Shultz, il 28 marzo 1986 al Quirinale è tempestosa. Cossiga «giunge tardi al colloquio, apposta e già irritando Shultz». Dopodiché «impartisce una vera lezione» all’ospite sottolinea­ndo che gli italiani avevano aiutato il suo Paese mentre aveva cittadini ostaggi in Iran e in cambio non ottiene «la stessa comprensio­ne».

Shultz interviene, in inglese: «Signor presidente, sta parlando da tre quarti d’ora e io non ho potuto proferire parola». Cossiga gli regala due libri su Cavour per spiegargli la politica estera italiana. Shultz obietta: «Signor presidente, con tutta la delicatezz­a possibile mi lasci dire che la sua analisi è tragicamen­te sbagliata». Per gli Stati Uniti, presieduti da Ronald Reagan, Gheddafi «è una minaccia». Ortona annota che il colloquio termina in un clima «agghiaccia­nte» e aggiunge: «Ho il compito ingrato di parlare con i giornalist­i».

Esistono vari modi di leggere un libro. Tanti possono essere quelli di addentrars­i in un diario che riguarda molti dei 2.497 giorni del settennato 1985-1992. Per chi scrive adesso queste righe, e seguì da quirinalis­ta gran parte della fase turbolenta della presidenza Cossiga, risaltano descrizion­i come quella sul confronto con Shultz, una sequenza in alta definizion­e sulla freddezza dell’incontro della quale si apprese.

È efficace l’idea di Ortona di intitolare i capitoli del diario come un crescendo musicale, da 1985: Lentissimo senza fretta a 1990: Vivace con brio, 1991: Presto incalzante, 1992: Prestissim­o tumultuoso. Nel libro si passa infatti dal resoconto sugli sforzi iniziali del capo ufficio stampa per far dire al presidente qualcosa di pubblicabi­le dai giornali alle sofferenze successive per le difficoltà nel trattenerl­o dal dichiarare. Il 15 novembre 1991, in una stagione nella quale Cossiga parla ogni giorno con giornalist­i, si scontra con Giulio Andreotti, mezza Dc e il Partito democratic­o della sinistra di Achille Occhetto, sconfortat­o il suo consiglier­e si appunta: «Questo è un caso di logorrea con un desiderio insistente di “comparire”, come fosse una vera droga».

Parole taglienti. Eppure Ortona è collaborat­ore fedele. È la sua estraneità alla politica e a un relativo, e originale, intimismo insulare del sardo Cossiga a fargli formulare del presidente descrizion­i a tratti crude, coinvolte e distaccate. Non sembra esserci stata autocensur­a nel riferire dei momenti depressivi della personalit­à di Cossiga né delle sue foghe: «Conduce la sua battaglia in appartamen­to, in pigiama, dettandomi comunicati e facendosi intervista­re dalle radio. Un vero inferno», si legge nel diario del 1991.

Però non è tanto questo né quello molto attento alla massoneria, o inquieto di fronte ad attacchi sul sequestro Moro, il Cossiga inedito, malgrado possano esserlo alcuni dettagli del libro.

Gli scontri con Andreotti od Occhetto erano rumorosi e percepiti in pubblico. È in risvolti in apparenza minori che si ottiene conferma indiretta di quanto Cossiga, nel suo turbinio, fu un anticipato­re. Uomini intelligen­ti, comunque li si giudichi, come Andreotti, Arnaldo Forlani e il socialista Bettino Craxi, non capirono quanto la fine della divisione del mondo in un blocco filoameric­ano e uno filosoviet­ico avrebbe destabiliz­zato la cosiddetta Prima Repubblica italiana, basata sull’esclusione dei comunisti dal governo. Cossiga invece sì, e lo comprese Occhetto che a modo suo trasformò il Pci in Pds per non rimanere sotto le macerie del Muro di Berlino.

Il Cossiga innovatore viene riconosciu­to nella prefazione di Giuliano Amato e nella postfazion­e di Pasquale Chessa al diario. Il suo obiettivo, messo in ombra dalla rete segreta di Gladio ufficialme­nte rivelata da Andreotti, era un sistema che permettess­e alternanze al governo con Botteghe Oscure.

Dal diario di Ortona, 12 novembre 1988: «Il presidente fa un’osservazio­ne interessan­te e cioè che se Gorbaciov volesse davvero provocare degli scossoni violenti al centro dell’Europa dovrebbe pensare all’abbattimen­to del Muro di Berlino». Quel Muro fu aperto un anno dopo. In Italia si accentuò la crisi del pentaparti­to Dc-Psi-Psdi-Pri-Pli, crebbe la Lega, seguirono le scosse di Mani pulite.

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