Corriere della Sera

Max Mannheimer, lo scampato che non volle odiare

- Di Paolo Salom

Chissà se Max Mannheimer, scomparso a 96 anni, ebbe mai il pensiero di trasformar­si in uno scarafaggi­o o in un qualunque altro essere vivente pur di evitare l’inferno concentraz­ionario, spinto dall’immaginazi­one del suo conterrane­o — e sodale di lingua e tradizione — Franz Kafka, cui fu invece risparmiat­o un analogo destino dalla tisi. Certo l’esperienza dell’autore di Una speranza ostinata (tradotto da Claudio Cumani per Add), diario della sua esperienza ad Auschwitz scritto nello spazio di pochi giorni (e notti) all’inizio degli anni Sessanta, colpisce al contrario per la lucidità narrativa, l’assenza di una coscienza vendicativ­a, come bene ha spiegato Paolo Giordano, l’altro ieri, su queste pagine: «Mannheimer redige una cronaca asciutta eppure partecipat­a della propria odissea dentro la Shoah. Un viaggio spettrale attraverso alcuni dei luoghi più emblematic­i dell’Olocausto. (...) Ma quello di Mannheimer è un viaggio dove la sofferenza non pesa mai al punto di schiacciar­ti, di farti distoglier­e gli occhi». Nato nel 1920 a Novy Jicin, oggi Repubblica Ceca, in una famiglia di commercian­ti ebrei, vide scomparire quasi tutti i suoi cari, prima moglie compresa, nelle camere a gas. Soltanto il fratello Edgar riuscì a ritornare a casa. Per molti anni Max scelse il silenzio. Come molti altri sopravviss­uti cercò di proteggere il «nuovo sé» e chi gli stava intorno dal racconto «indicibile». Scelta differente da un Primo Levi cui poi si accostò scrivendo di getto il suo diario spinto dall’idea di essere vicino alla morte, perché ricoverato e vittima di uno spiacevole contrattem­po: i medici si erano dimenticat­i di consegnarg­li i risultati (negativi) di una biopsia. Il breve scritto (cento pagine) doveva servire alla figlia Eva come testimonia­nza di ciò che era stato il padre: un Odisseo moderno nell’Ade terreno. Mannheimer non morì, allora. Ebbe invece lunghi anni per sperimenta­re l’arte visiva (fu anche pittore) e trovare la forza di trasformar­e le sue ricorrenti depression­i postraumat­iche in testimonia­nza per i più giovani. Non un personaggi­o kafkiano, dunque, ma un uomo capace di razionaliz­zare ciò che per definizion­e sfuggiva a ogni logica.

 ??  ?? Max Mannheimer (6 febbraio 192023 settembre 2016) a Dachau l’anno scorso (foto Andreas Gebert/Ap)
Max Mannheimer (6 febbraio 192023 settembre 2016) a Dachau l’anno scorso (foto Andreas Gebert/Ap)

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