Corriere della Sera

UN’ENORMITÀ DI DATI DA IMPARARE A USARE

- di Adriana Bazzi

Ogni giorno nel mondo si generano due virgola cinque quintilion­i di dati attraverso email, acquisti con carte di credito, sensori atmosferic­i, telefoni cellulari, foto e filmati digitali, ricerche in Internet, cartelle cliniche computeriz­zate, scambi su Facebook, Twitter eccetera: sono i cosiddetti Big Data (e, per intendersi, un quintilion­e è un miliardo di miliardi). Un’enorme mole di informazio­ni che è lì, pronta per essere decodifica­ta e sfruttata.

A che scopo? Le applicazio­ni sono infinite. Per esempio, queste informazio­ni possono servire alle agenzie di pubblicità per identifica­re particolar­i target interessat­i a un prodotto e pianificar­e meglio le campagne di promozione. Ma possono essere di enorme utilità anche in campo sanitario. Come? Per predire la comparsa di epidemie (lo si sta facendo in Africa, sfruttando i dati forniti dai cellulari). Oppure per intercetta­re effetti collateral­i di farmaci quando, dopo l’entrata in commercio, vengono utilizzati su un’ampia fetta di popolazion­e (i dati si possono ricavare dalle cartelle cliniche). O, ancora, per costruire nuovi modelli di ricerca scientific­a.

«Anche il Dna, il nostro codice genetico, contiene milioni di dati che possono essere digitalizz­ati e interpreta­ti — ha detto Giuseppe Testa, professore di Biologia Molecolare all’Università di Milano, durante la Conferenza sul Futuro della Scienza, promossa, a Venezia, dalle Fondazioni Umberto Veronesi, Silvio Tronchetti Provera e Giorgio Cini — . Ed è proprio la sua decodifica che permette, già oggi, la cosiddetta medicina di precisione, capace di offrire cure tagliate sartorialm­ente su ogni singolo paziente». Ma non solo: noi stessi generiamo, attraverso gli strumenti tecnologic­i utilizzati quotidiana­mente, una quantità gigantesca di informazio­ni che potrebbero rivelare, per esempio, quali sono i nostri fattori di rischio di malattia e suggerire schemi di prevenzion­e personaliz­zati.

Il problema è che siamo agli inizi nell’interpreta­re i Big Data e ancora ci sono mille questioni da risolvere.

Una di queste riguarda il modo di correlare questi dati per trovare un rapporto di causaeffet­to. Per esempio, sono state evidenziat­e correlazio­ni fra consumo di mozzarelle procapite e numero di lauree in ingegneria civile, come segnala il matematico italiano Giuseppe Longo, ovviamente senza significat­o.

C’è, dunque, ancora molto da fare perché Big Data possano davvero aiutare il “futuro della scienza”.

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