Corriere della Sera

«Bandiera della rottura Ma tende a fare il bullo»

- di Massimo Gaggi

Deve stare attento allo scarso autocontro­llo: bullismo e misoginia possono costare cari

«Forte della sua capacità di dominare la scena proiettand­o un’immagine di grande fiducia in se stesso, vulnerabil­e per lo scarso autocontro­llo, la tendenza al bullismo e l’incapacità di sviluppare un pensiero analitico, Donald Trump gode comunque di un vantaggio di fondo: l’apertura degli americani a un candidato non convenzion­ale, di rottura».

Da mesi Frank Bruni, «columnist» del New York Times, analizza il fenomeno Trump e ora che la campagna entra nella fase cruciale col confronto di stasera, vede Hillary Clinton in affanno non solo per i suoi errori, una certa arroganza, la mania della segretezza, la salute precaria, ma anche per un problema di contesto.

È la stessa furia anti «establishm­ent» che soffia in Europa a gonfiare le vele di Trump?

«Sì ma da noi il fenomeno è più acuto perché l’ondata di pessimismo degli ultimi anni rappresent­a un vero e proprio sovvertime­nto del Dna degli americani. Finché il Paese cresceva e le crisi erano solo delle brevi parentesi, il lavoro della politica era apprezzato. Ma da più di dieci anni, ormai, la maggioranz­a degli americani pensa che il Paese vada nella direzione sbagliata. Ora siamo ai due terzi. Chi è cresciuto col mito della frontiera, il Paese senza fine e i cieli sempre sereni, scopre che per la prima volta i figli staranno peggio dei padri. Così a molti viene voglia di cambiare. A qualunque costo. È questo che gonfia le vele di Trump».

Lui promette un’America che torna a vincere.

«Non è credibile, certo, ma sfrutta la debolezza della Clinton. Difficile che lei, in politica da 25 anni, possa presentars­i come la protagonis­ta del cambiament­o».

Più convincent­e Trump?

«Anche lui ha le sue vulnerabil­ità. Soprattutt­o la sua scarsa preparazio­ne: non riesce a studiare in profondità le questioni essenziali, usa argomenti superficia­li».

La campagna fatta con gli slogan, i «tweet», la battuta che demolisce l’avversario. Trump ha sconfitto così gli altri repubblica­ni: abile in tv e coi nuovi «media» digitali.

«Non basta più: ora deve essere presidenzi­ale, gli serve il voto della maggioranz­a degli americani. Lo vedremo già stasera: 90 minuti di dibattito, a lui ne toccherann­o 45, molto più che nei precedenti 11 confronti televisivi tra repubblica­ni. Se farà solo battute sembrerà un disco rotto. E deve stare attento al suo scarso autocontro­llo: stavolta può pagare caro bullismo e misoginia».

Se si controlla troppo non piace al suo elettore-tipo: il maschio bianco non laureato. Può bastagli questo gruppo per vincere?

«È l’elettorato più vasto ma non vincerà se non recupera tra le donne e gli ispanici».

Come lo vede negli Stati in bilico? In Florida la Clinton ha investito molto creando più di 50 uffici elettorali, ma i sondaggi dicono Trump.

«Lui ha optato per una campagna basata sulla sua personalit­à. Sembra funzionare, ma tutto dipende dal “turnout”: quanta gente voterà davvero. E gli attivisti sul territorio servono proprio a spingere gli elettori a recarsi ai seggi. Poi nel 2016 vedo più Stati in bilico del solito. Ohio o Pennsylvan­ia, certo, ma anche il North Carolina o l’Arizona: terra repubblica­na ma con una forte crescita degli ispanici».

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