Corriere della Sera

«Io, all’alba verso Lugano Temo solo la loro crisi»

- C. Del.

DAL NOSTRO INVIATO

«Cosa farò oggi? Andrò al lavoro tranquillo, sicuro che la politica può gridare quello che vuole ma la realtà dice altro e cioè che noi abbiamo bisogno della Svizzera ma gli svizzeri hanno bisogno di noi». Dunque, come fa da sei anni, stamattina Marco Giovanelli, 41 anni, fiorentino trapiantat­o a Como, uscirà di casa alle 5.30 e in treno raggiunger­à la banca di Lugano dove lavora come addetto alla sicurezza e manutenzio­ne. Giovanelli è uno dei 62 mila frontalier­i italiani che ogni giorno varcano il confine. Ha avvertito un crescente clima anti italiano attorno a sé? «In tutta onestà no; certo tra di noi

Oltre confine Marco Giovanelli, 41 anni, da sei lavora in una banca di Lugano

se ne parla ma un conto sono i titoloni di alcuni giornali svizzeri, talvolta offensivi verso gli italiani, altro la vita sul posto di lavoro. Che è fatta di rispetto e cordialità». Vi ritengono responsabi­li del gioco al ribasso dei salari, per questo hanno votato il sì al referendum... «Non mi nascondo che il problema esiste. Con uno stipendio di 3.000 franchi, che sono quanto porta a casa un operaio italiano in Ticino, qui non arrivi a fine mese. Ma il problema non lo risolvi prendendot­ela con noi. Si era proposto di introdurre per legge un salario minimo, ma gli svizzeri, con un altro referendum, hanno bocciato la proposta». Questo voto aumenta la vostra insicurezz­a? «Il settore per cui lavoro, quello bancario, negli anni ha subito ristruttur­azioni, la preoccupaz­ione viene da lì».

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