LE NOSTRE ISTITUZIONI CHE NON SANNO
COMUNICARE
Caro direttore, a fronte della necessità di comunicare una iniziativa di oggettiva importanza sanitaria e sociale, il Ministero della Sanità ha messo in campo una comunicazione assai modesta subito male interpretata. In seguito alle proteste, è stata imbastita in gran fretta una nuova comunicazione che ha proposto stereotipi stigmatizzati come razzisti. Una toppa peggiore del buco, si potrebbe dire.
Il caso è emblematico di ciò che avviene troppo spesso nella Pubblica Amministrazione, e fa comprendere perché nelle Facoltà universitarie, salvo rare eccezioni come la recente campagna sulla sicurezza stradale, le campagne governative vengono impiegate nella didattica per elencare i principali errori da non commettere. È la riprova del fatto che nelle Istituzioni esiste una modesta e assai vetusta cultura della comunicazione, che confonde ancora il giornalismo con la pubblicità, per cui nel migliore dei casi a capo degli uffici preposti ci sono giornalisti che raramente sanno cosa sia un Grp (indice di pressione pubblicitaria), e figuriamoci cosa conoscono del programmatic e delle sofisticate tecniche per gestire i media digitali. Oppure ci sono alti dirigenti come la Dottoressa Rodrigo appena rimossa dal suo incarico, che di formazione è avvocato!
È opportuno poi sapere che quando vengono indette le gare fra agenzie di pubblicità, di norma si privilegia l’acquisto dei progetti al prezzo più basso, visto che per motivi strutturalmente evidenti manca la
Difficoltà
competenza per giudicare sia l’efficacia creativa di una campagna che i suoi effetti sul corpo sociale. Inoltre le risorse complessive che si investono sono quasi sempre sotto la soglia minima necessaria a remunerare media e agenzie, per cui le sigle più titolate o hanno smesso di partecipare alle gare pubbliche o ci hanno messo a lavorare le risorse meno costose e quindi meno preparate. L’ultimo incidente dimostra che la mancanza di interlocutori realmente specializzati nella Pubblica Amministrazione rende difficile mettere sulla giusta strada le agenzie e i professionisti Nella Pubblica Amministrazione sono assenti interlocutori specializzati
esterni, e rende inoltre arduo giudicarne il lavoro. A questo perverso combinato-disposto si aggiunge il fatto che la Ministra Lorenzin ha approvato una campagna giudicandola (tardivamente) brutta, affermando inoltre che «interessa il messaggio e non la campagna», quando sono proprio la stessa cosa (la forma è un contenuto, ripeteva Testori). Ma c’è dell’altro: ha pure chiesto che i «creativi» la aiutino a fare campagne migliori ma gratis, richiesta che certo non le verrebbe in mente di fare ad un idraulico chiamato d’urgenza per un allagamento nei gabinetti del ministero. Dal che si deduce quale sia il rispetto per un mestiere che richiede grande know-how e notevoli competenze multidisciplinari. Peggio ci sentiamo quando il Presidente del Consiglio annuncia di voler supervisionare le campagne dei ministeri: chi lo farà? Forse il responsabile del Dipartimento dell’Editoria, che è un giornalista? Un coordinamento è certo auspicabile, ma ad opera di una struttura con pubblicitari e tecnici di adeguato curriculum.
A questo proposito, un anno fa abbiamo suggerito al Sottosegretario Lotti l’ipotesi che fosse Pubblicità Progresso, con mezzo secolo di storia alle spalle nella realizzazione di campagne sociali di successo, a svolgere un ruolo di advisor per la comunicazione pubblica, secondo un moderno principio di sussidiarietà. Non è mai pervenuta alcuna risposta. I risultati si vedono.
. Presidente Fondazione
Pubblicità Progresso Docente di Comunicazione Sociale all’Università IULM